Ennio Flaiano

Quando nel 1947 Ennio Flaiano vince la prima edizione del neonato premio Strega con il romanzo "Tempo di uccidere", unico nel suo genere destinato purtroppo a restare unico anche nella sua produzione letteraria, ha 35 anni ed è quindi giunto "nel mezzo del cammin di nostra vita" sebbene lui si trovi già a tre quarti della propria, dato che morirà il 20 novembre 1972, venticinque anni dopo. Il romanzo gli venne commissionato da Leo Longanesi che poi lo pubblicò nella neonata casa editrice milanese e, pare, gli trovò anche il titolo. Flaiano lo scrisse in tre mesi, stesso tempo che impiegò Raymond Chandler per scrivere "Il grande sonno", primo romanzo di sette con protagonista Marlowe. E sette fu anche il numero che, nel tempo che fu, veniva considerato magico, soprattutto nell'antica Roma. Sette colli. Sette re. Sette di vario tipo che da allora a oggi funestano la città e i suoi abitanti.
Settimo era anche Ennio di sette fratelli, per cui si può dire che il destino lo predestinò a farlo approdare nella capitale che: per un suo strano scherzo, lo fece viaggiare in treno il 26 ottobre del 1922, trovandosi non con una grigia compagnia bensì nera, visto che si trattava di fascisti impegnati nella marcia su Roma. Lui che era ancora un ragazzino di 12 anni, essendo nato a Pescara il 5 marzo 1910, compirà nella città fondata da Romolo e affondata da Benito gli studi secondari superiori nel Convitto nazionale fino a diplomarsi nel 1929 - anno di crisi internazionale ma non ancora di crisi personale per molti italiani che nel fascismo non vedevano un grande pericolo - per poi iscriversi alla Facoltà di architettura, dove però non terminerà gli studi anche perché inizierà a lavorare come scenografo prima e come giornalista poi, visto che nel frattempo ebbe modo di conoscere uomini del calibro di Longanesi, Pannunzio, Interlandi. I primi giornali ai quali prenderà a collaborare furono "Omnibus", "L'Italia Letteraria", "Quadrivio". Flaiano non fu mai simpatizzante del partito unico capeggiato da Mussolini e appoggiato: per lo meno inizialmente, anche dalla monarchia, che timorosa di un non tanto ipotetico colpo di mano, chiusa a pugno, del comunismo aveva spalancato la strada e le braccia ai fascisti dalla mano aperta e sollevata in alto. 
Lo scrittore abruzzese nei suoi scritti, che solo in apparenza trattano esclusivamente di recensioni teatrali o letterarie, inserisce anche - seppure velatamente - le sue idiosincrasie dicendo e non dicendo, alludendo e disilludendo i credenti, tutti d'un pezzo, che non sanno andare oltre l'apparenza sguaiatamente allegra che il Paese stava vivendo. Dal 1933 al 1936 Flaiano in qualità di sottotenente partecipa alla guerra d'Etiopia, comandando soldati nullatenenti che vedono in quella guerra l'occasione di conquistarsi un posto al sole. Anni dopo dirà che era "una guerra cui ho preso parte e che mi ha portato ventiquattrenne a ripudiare il fascismo e a desiderare che la cosa finisse brutalmente nella sconfitta". Nel 1939 fa ritorno a Roma e inizia a occuparsi di cinema (la settima arte: il numero magico sempre ritorna!) per il settimanale "Oggi", mentre l'anno dopo sposa Rosetta Rota, sorella di Nino futuro compositore delle musiche di molti film di Fellini. Nel 1943 Flaiano darà inizio alla sua attività di sceneggiatore cinematografico, portata avanti parallelamente ai suoi articoli, recensioni, racconti - questi ultimi raccolti in tre volumi. Con Fellini collaborerà in 10 film, fino a "Giulietta degli spiriti", uscito nel 1965. Nel 1964 uscirà invece lui dal team di sceneggiatori per una divergenza sulla sceneggiatura, che porterà i due grandi artisti a uno scambio di lettere risentite. Gli scriverà infatti Fellini il 24 giugno 1964: "Finisce la collaborazione? Mi spiace. Mi sembrava che in fondo ti divertivi a lavorare con noi e non ti facevo poi fare brutta figura come spesso ti capita con altri registi". Su "Il Mondo" Flaiano collaborerà con la rubrica "Diario Notturno", tenuta dal 1954 al 1957 e ripresa per alcuni mesi nel 1960. È del 6 novembre 1956 questo passaggio contenuto nell'articolo, in cui parla dei due partiti di maggioranza che seppure con modalità diverse hanno fra loro in comune l'avversione per la libertà. "Le rivoluzioni che l'Italia può oggi permettersi e che fatalmente si permetterà, sono di ripiego, timide, rivoluzioni approvate dallo stato, fatte con l'aiuto dello stato e dirette contro la Libertà, ma proclamate in nome della Libertà: un sinistro pasticcio". Tutto questo previsto con 15 anni di anticipo. Passerà poi a collaborare con "L'Espresso", "L'Europeo", il "Corriere della Sera". Il suo rapporto con Roma sarà di amore-odio: amore per la città, un po' meno per i suoi abitanti menefreghisti. Flaiano viene ricordato in prevalenza per i suoi aforismi, tipo: "In Italia la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Viviamo in un mondo d'arabeschi". Ennio Flaiano fu però ben altro: un descrittore, più che un fustigatore, delle miserie della Società italiana del dopoguerra. La sua scrittura che sa di rassegnazione, di morte incombente è forse anche influenzata dalla morte che in una città come Roma è dappertutto: muta testimonianza dei fasti del passato che si riflette negli animi più sensibili dei suoi abitanti o visitatori. Ma anche la consapevolezza che tutto ha una fine e non solo un fine in ogni esistenza. Voglio qui terminare con un suo scritto del giugno 1962, inerente la proliferazione di libri scritti da chiunque: "Le donne specialmente - certe donne - si dimostrano implacabili. Pazienza: non si fa il baccanale senza le baccanti... avventure tumide, sentimentali, sessuali e autobiografiche. Per questo tipo di donne, scrivere un romanzo significa raccontare male le stesse cose che riescono a nascondere così bene quando le fanno". 
Antonio Mecca

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