La ricorrenza del 23 maggio

Commemorare le stragi di mafia, come quella di Capaci o quella dei Georgofili, nell’ambito delle numerose iniziative scolastiche, che hanno luogo in tutto il Paese, è senz’altro lodevole, ma rischia di non raggiungere i risultati attesi, poiché, tali iniziative, vanno sempre inserite in ben più ampi progetti riguardanti la legalità.

La lotta a tutti i comportamenti deviati deve diventare un argomento di grande importanza all’interno delle scuole, qualcosa di imprescindibile nei programmi di studio dei giovani fin dalla tenera età per comprendere quanto sia importante la legalità e il rispetto delle regole. Certamente, la prima arma per combattere la mafia è non dimenticare, continuando a ripudiare l’illegalità in tutte le sue forme, da quelle più gravi a quelle più banali e semplici della vita quotidiana, come guidare senza le cinture o gettare rifiuti per terra. Il rispetto della legalità deve essere appreso con impegno e perseveranza. Dobbiamo renderci conto che parlare di legalità, partendo dal fenomeno mafioso, non è sempre una strategia corretta; ricordiamo infatti che la mafia è un fenomeno complesso che esige la conoscenza della storia di alcuni territori, ma anche di sofisticati meccanismi di corruzione dei sistemi economici e politici.

Il rischio concreto è che in queste giornate della memoria, si consegni agli studenti “un’antimafia retorica e parolaia”, come la definisce il Procuratore Roberto Scarpinato.

Una narrazione tragica e, nello stesso tempo, semplice e pacificata, che si può riassumere nei seguenti termini: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, furono assassinati perché, con il loro lavoro di integerrimi magistrati, culminato con il maxiprocesso, erano il simbolo di uno Stato che aveva sferrato un colpo mortale a Cosa nostra, mandando in frantumi, il mito della sua invincibilità. I carnefici, i portatori del male di mafia, sono stati identificati e condannati. Hanno i volti noti di coloro che l’immaginario collettivo ha già elevato a icone assolute e totalizzanti della mafia: Totò Riina e Bernardo Provenzano. Una minoranza che rappresenta il male, all’interno di una società costituita da un’assoluta maggioranza di onesti. Il male , dunque è fuori di noi. La realtà invece, è ben diversa, infatti la linea di confine non è mai così netta, e a sporcarsi le mani sono stati i colletti bianchi, politici, magistrati, vertici dei servizi segreti, avvocati, medici, commercialisti. Chi ha vissuto queste tragiche vicende di persona, ne esce spesso spaesato, non potendosi riconoscere in una simile narrazione degli eventi. Ma anche gli studenti ne traggono una memoria superficiale.

Ecco che allora, potrebbe essere più utile spiegare in modo più approfondito, le ragioni storiche della nascita delle organizzazioni criminali, la relazione tra povertà di un territorio, l’assenza delle istituzioni, e la proliferazione delle mafie. Ricordare per esempio, il maxiprocesso come un monumento giuridico, cosa accadeva prima e cosa è accaduto dopo di esso. Si potrebbe riflettere sui cambiamenti delle organizzazioni criminali e sulla loro presenza capillare in tutto il territorio nazionale.

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani ritiene opportuno inserire la ricorrenza del 23 maggio in un programma di attività più ampio che consenta di:

- promuovere e rafforzare la consapevolezza che la legalità è il pilastro della convivenza civile

- mettere in sinergia le istituzioni, le associazioni, le agenzie educative del territorio in un percorso di convergenza verso la scuola.

- proporre ai giovani delle figure di riferimento del passato e del mondo odierno.

- sviluppare nei giovani, il senso di responsabilità e delle conseguenze delle azioni scorrette come il progetto sperimentale “Aziende giuste”.

- conoscere la storia dei fatti drammatici che hanno interessato il nostro paese, e le conseguenze sul territorio, a livello economico, politico e sociale.

Daniela Provenzano

Coordinamento nazionale docenti della disciplina dei Diritti Umani

 

 


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