Il sabato della supplente

Dal Volume “Qualcosa di inabitato” Edizioni EDB, Milano 2013
Stelvio Di Spigno

                Guido, i'vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch'ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio

Carte imbronciate, documenti
dalla pelle di fuoco, una che dorme in piedi, ma
sui piedi di un altro. Fascette immacolate
di compiti di classe. Questi sono i giorni del supplente,
prima si farebbe a chiamarlo facchino, ulcera, maiale.
Lei, donna, amava il greco antico. Quest'amore sacrilego
è stato punito. Giorni come ore volano come passeri.
Non un ricordo, non un fiore da parte dei colleghi. E dell'amore
una vaga rimembranza che è meglio allontanare.

La vita è tutto un debito. Attorno è terra bruciata.
L'uomo deve vivere, invece sopravvive.
Un sì dopo l'altro, accetta anche la morte,
la Nemica, la Carogna. Una volta arrivava in carrozza
col drappo nero e le orchidee dell'addio: ora
è quasi una liberazione, una libidine solitaria.

Restano nel cestello, a fine ora o a fine pasto,
fotocopie di monna Vanna e monna Lagia; lei oggi sogna
una vita normale con un uomo difficile
da capire. Altro che incantatori e barchette
con dentro Dante e il plotone stilnovista.
"Domani faccio la stacanovista. Mi butto
sul lavoro. Così passa più in fretta. Il sabato
chiudo bottega e piango fino a sera".