LA MIA TESTIMONIANZA

di ACHILLE COLOMBO CLERICI
Rispondendo all’appello della Fondazione Carlo Maria Martini per la realizzazione dell’Archivio Martini, il presidente di Assoedilizia e dell’Istituto Europa Asia Achille Colombo Clerici porta la sua testimonianza.

Ho avuto modo di incontrare il cardinal Carlo Maria Martini in molte occasioni, durante i 23 anni del suo ministero pastorale alla guida della Arcidiocesi di Milano e di frequentarlo assiduamente per lunghi periodi.
Era a Milano da quattro anni, quando mi aveva chiamato fra i  componenti del Terzo Consiglio Pastorale diocesano, i cui lavori si svolsero nell'arco di un quinquennio, dal 1984 al 1989.
155 membri complessivamente, dei quali 40 di nomina arcivescovile; sessioni plenarie, commissioni di indagine e di studio, assemblee, incontri "dopo-cena". 
Segretario generale Marco Vergottini e delegato monsignor Giovanni Saldarini, che poi sarebbe divenuto Arcivescovo di Torino.
Martini annetteva molta importanza al ruolo e alla funzione di questo organismo di partecipazione alla vita della Chiesa, che peraltro era di recente istituzione. E lo considerava importante anche ai fini della conservazione di una memoria storica "per la comprensione che i posteri avranno della nostra vicenda attuale".
Le sessioni si tenevano in varie sedi; quelle plenarie, in particolare, presso il Seminario di corso Venezia a Milano, nella Villa Cagnola di Gazzada e nella Villa S. Cuore di Triuggio.
Qui il sabato e la domenica ci si incontrava, alla sua presenza, per discutere tutti i temi di interesse della Chiesa locale e della fede, in generale. Non ricordo che il Cardinale sia mai mancato in una qualche occasione, né gli ricordo un minimo raffreddore, un periodo di malessere, di stanchezza.  
Sempre eguale, sempre sereno, assorto nei suoi pensieri, non particolarmente espansivo. Non ho mai capito se si trattasse di timidezza o di un'intima esigenza di essenzialità: se debbo dire, propenderei per quest'ultima. 
In occasione della mia nomina monsignor Enrico Mariani, a capo dell'ufficio amministrativo della Curia, mi raccomandò di esser sobrio nella risposta di accettazione: "...il Cardinale non ama le lettere cerimoniose..."
Tutto ciò nulla toglieva al senso di paternità che sapeva comunicare.
"Gli incontri periodici con i membri di questo Consiglio - ebbe a dire nel 1990 - avvenuti per lo più in sessioni residenziali, che permettevano di meglio conoscerci e parlarci, sono per me tra i ricordi più belli di questi anni".
Nel Consiglio pastorale ascoltava, ascoltava i discorsi di ognuno di noi senza interloquire. E interveniva, in conclusione, pacatamente, secondo un percorso logico sempre identico. 
Il suo discorso, seguiva uno schema che prendeva le mosse dal testo sacro, da un termine che diventava concetto, per approdare a una proposizione contestualizzata. Qualcuno poteva scambiare questo approccio per una deformazione professionale, essendo Martini uno studioso biblista.
Ma il modus procedendi attestava viceversa la sua profonda aderenza al senso della missione della Chiesa: diffondere la parola di Cristo. Et verbum caro factum est.
Prima la Parola del Figlio dell'Uomo (da cui discendono la solidarietà, la fraternità, la carità, la missionarietà), poi tutte le finalità umanitarie della Chiesa.
Il 15 novembre 1986 Martini apriva in Duomo il Convegno "Farsi Prossimo" che portava a esito il grande lavoro compiuto in più di tre anni dal Consiglio. Ma in quell'occasione mancavano due voci autorevoli, fra i suoi componenti: Giuseppe Lazzati e don Luigi Serenthà, scomparsi qualche mese prima.
Nella sessione consiliare  plenaria del 10 ottobre di quell' anno, tenutasi alla Gazzada, il Cardinale, che aveva raccolto l'ultimo respiro dell'amico don Luigi, nel  commemorare gli scomparsi aveva richiamato il concetto secondo cui «la pastorale non è l'atto del fare, ma l'atto del farsi della comunità cristiana, la quale sorge dal mistero pasquale di Cristo e vi si richiama per la forza della Parola che lo proclama, dell'Eucaristia che lo incarna e dei doni dello Spirito - fra cui eccelle il ministero dei successori degli Apostoli - che lo attualizzano».
Qualche anno dopo, il 16 giugno 1990, aveva luogo il primo dei 17, ad oggi, annuali "Incontri di Caidate" (dal nome della località del Varesotto dove sorge il castello Confalonieri-Belgiojoso che li ha ospitati).
Si trattava della realizzazione di un' idea maturata da Giuseppe Barbiano di Belgiojoso nelle lunghe conversazioni con  Adolfo Beria di Argentine.
Riunire periodicamente uomini di cultura, imprenditori, esponenti della società civile e delle istituzioni, politici, per dibattere, attorno a relazioni tenute da personalità di alto profilo, i temi di maggior attualità.  
Giuseppe Belgiojoso e Adolfo Beria diedero vita a quello che sarebbe diventato il "salotto" per eccellenza della borghesia milanese, discreta e concreta.
Adolfo Beria di Argentine – magistrato, giornalista, giurista – Procuratore 
generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano, uno dei più insigni uomini di giustizia che l’Italia abbia avuto, ebbe il merito  di avere “umanizzato” la magistratura – fino ad allora spesso avvertita quale 
istituzione rigida, esclusiva, occhiuta – calandola nel corpo vivo della 
società italiana in tumultuoso cambiamento, pur mantenendone inalterati e anzi rafforzandone i principi sui quali si fonda.
Sul suo tavolo allora giacevano già alcuni dossier riguardanti le scottanti vicende di tangentopoli.
La questione morale appariva la questione cardine nella vita del Paese.
E, mentre In Italia aleggiava l'aria immota che si respira prima della tempesta, a Caidate venivano affrontati, in una sequenza logica che faceva intravvedere un chiaro pensiero sotteso, nell'ordine il tema "Milano fra cultura dell'eccellenza ed etica della solidarietà" e l'anno dopo, il 14 giugno del 1991, la tematica “Dall’etica della responsabilità alla cultura della legalità”.
Il cardinale Carlo Maria Martini non si sottrasse al dialogo su questi temi e fu relatore in entrambe le sessioni, prima con Giuseppe De Rita e poi con Vincenzo Scotti, allora Ministro dell'Interno. 
Il messaggio di quelle riflessioni era l'esigenza di ripristino del senso di illiceita' di certi comportamenti in una coscienza collettiva che sembrava affievolita.
Otto mesi dopo, con l'arresto di Mario Chiesa, il 17 febbraio del 1992,  si apriva il capitolo di "Mani Pulite" che avrebbe fatto crollare un mondo di corruzione aprendo alla speranza di un Paese “normale” che purtroppo, e le vicende odierne, 25 anni dopo, lo dimostrano, avrebbe invece presto ripreso il noto ben triste malcostume. I temi evidentemente non erano stati scelti a caso dalle due personalità, Martini e Beria di Argentine, in un percorso che poneva al centro la persona umana, la città e la legalità. Quasi un estremo, inascoltato appello.

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