IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 42
- 23 febbraio 2021 Cultura
Il giovane si voltò, più stupito che spaventato. Vide i due uomini, inequivocabilmente sbirri provenienti dal suo Paese, come denunciavano i loro lineamenti caratteristici della cara, dolce Francia.
- Alzati! - intimò l’altro suo collega, un dannato grassone dal faccione antipatico. - La cena è rinviata sine die.
Joseph era un individuo pericoloso. Cresciuto nelle banlieue fin da quando era bambino, aveva imparato a cavarsela nella lotta fra bande riportando a volte ossa rotte ma spesso rompendole agli avversari. Per cui non aveva di certo l’intenzione di permettere a quei due di sbatterlo nella buiosa.
Tentò quindi il tutto per tutto. Si alzò di scatto con il coltello ben saldo in pugno e ne infilò velocemente la lama acuminata, fatta per tagliare comodamente la pizza, nella pancia del grassone, il quale emise un urlo di dolore. L’altro cercò di placcarlo. Il giovane si divincolò simile a un’anguilla e lo colpì con il coltello che ancora reggeva in pugno.
La gente lì intorno aveva iniziato a urlare, qualcuno si era alzato scappando. Scappò anche Joseph, con uno scatto da centometrista. Il magro si mise a correre alle sue calcagna, la pistola in pugno.
- Fermati o sparo!
Il giovane si voltò, seguitando nella sua corsa folle e disperata. Allora il poliziotto puntò l’arma alle gambe del fuggitivo, ma mentre premeva il grilletto Joseph inciampò e cadde, voltandosi poi indietro. Il proiettile lo centrò così al ventre, e quando il commissario gli fu accanto il ragazzo era già morto.
Marie apprese dell’uccisione di Joseph dal telegiornale, un tg francese dell’unico canale del suo Paese che nell’albergo romano in cui si trovava da tre giorni poteva ricevere il televisore.
Due poliziotti di Lione erano da Amsterdam giunti a Valencia, individuando l’hotel dove lei e Joseph erano sbarcati restandovi due giorni e, da qui, informandosi presso gli informatori locali ecco trovare in una settimana, il ragazzo francese. La ragazza invece non era stato possibile rintracciarla e quando si era interrogata Lucia - la nuova fiamma del giovane - questa aveva riferito loro ciò che sapeva di Marie, precedente fidanzata del ragazzo, e cioè che non sentendosi sicura aveva deciso di cambiare città trasferendosi a Barcellona. Avrebbe voluto che anche lui lo seguisse, ma il ragazzo aveva preferito restare a Valencia perché la città era di suo gradimento.
Marie sorrise, in segno di compatimento. Era stata più intelligente, e più saggia di lui. E il finale tragico in cui era incorso stava a dimostrarlo. Adesso la polizia si sarebbe recata a Barcellona, per cercarla. Ma della ragazza non conoscevano il nuovo nome, né l’ultima destinazione. Per cui poteva considerarsi abbastanza al sicuro.
Uscì dall’albergo nell’antico ed elegante palazzo di fine Ottocento situato nella parte alta di via Firenze. Al lato opposto si congiungeva nella via del Viminale e - prima ancora - attraversava l’ampia via Nazionale che portava in piazza Venezia.
Roma le era piaciuta da subito. Era talmente bella da potersi considerare meravigliosa, più bella a suo vedere della bella Parigi. Ma se questa era più elegante, Roma invece era di una bellezza più rassicurante, più casereccia. In lei vi era una commistione di epoche diverse: quella della sua lontanissima origine, quella della Roma barocca del papato, quella della Roma Sette-Ottocentesca che aveva conosciuto a sua volta fasti edilizi che ben risaltavano in varie sue zone, Trastevere in primis. Una ragazza sola, specie se bella com’era Marie, attirava l’attenzione. Per cui era stata adescata da diversi ragazzi, almeno all’apparenza gentili e simpatici. Mai però si era fatta sfuggire una sola parola sul proprio recente passato, limitandosi a confermare la propria origine francese e senza neppur dichiarare di essere nativa di Lione. Aveva parlato invece di Grenoble, città che conosceva per esserci stata più volte. Del resto ai ragazzi interessava ben poco della sua origine. Quello che a loro stava più a cuore era la sua figura di ragazza giovane e bella la cui origine francese sembrava donarle un’allure che alle ragazze del posto, seppure non meno belle, di certo mancava. In realtà le romane sono più dirette, con meno fronzoli e – anche per questo – apparentemente più affidabili. Sono, comunque, più vive. In quella città antichissima ma in un certo senso sempre uguale a se stessa pur col trascorrere dei millenni, lei si trovava bene. Era come se fosse rinata, in quel luogo che veniva definito la culla del mondo. Non era solo una questione di architettura ma anche e soprattutto di clima, di luce, di natura. Le piaceva la campagna romana, percorrere la via Appia che alternando sul selciato ai cubetti di porfido le antichissime pietre risalenti alla notte dei tempi costeggiava la verde campagna attraversata dai ruderi dell’acquedotto che seppur non più funzionante aveva conservato la sua imponenza, preservando la propria immagine di potenza conquistatrice del mondo. Camminava solitaria incrociando altre persone sole, impegnate nel fare movimento a piedi o in bicicletta, a passo sostenuto o correndo. Qualche automezzo transitava, ma solo se appartenente alle forze dell’ordine o di coloro che fortunati vi abitavano. Marie Chevalier si chiedeva spesso cosa ne sarebbe stato della sua futura vita, perché ben sapeva che la somma estorta non poteva bastarle per sempre. Pensava allora che avrebbe ripreso a lavorare, o a fare la mignotta, come venivano chiamate lì le proetitute, o forse: chi lo sa, avrebbe finito per convolare a nozze con un fessacchiotto che le avrebbe fatto partorire almeno un figlio che poi lei avrebbe allevato con amore. Pensava anche, ogni tanto, a Frédéric Darc, lo scrittore. Sapeva essere tornato a casa sua, in Svizzera, e avere ripreso a scrivere: un romanzo con protagonista il commissario, che era nelle sue intenzioni di terminare entro la fine dell’anno. Fine dell’anno che si andava appressando, visto che oramai si era giunti quasi a novembre, sebbene il clima romano non desse a intravederlo. Pensò anche al romanzo scritto da Frédéric in cattività, e al perché non se ne parlasse. Forse, chissà, l’autore non ne era molto convinto, o magari intendeva destinarlo come lascito per dopo la sua morte.
Antonio Mecca