Il male serpeggia nell'animo dei folli

Disgustoso gesto di odio razziale

Il recente disgustoso vilipendio alla memoria di Anna Frank con relativo fotomontaggio e la scritta "romanista ebreo" da parte di alcuni imbecilli che a furia di ragionare solo del pallone hanno finito per avere anche la testa nel pallone, dovrebbe essere materia di riflessione su quanto tante persone hanno sofferto e soffrono a causa dell'odio razziale e dell'intolleranza di parte - perché di parte - di mostri insediatisi al potere, osannati dal popolo bue che cerca da sempre nel superuomo la inesistente ricetta del paradiso in terra, finendo: come in quest'ultimo caso, nella terra di un semplice campo di calcio, dove prendere a calci non tanto un pallone quanto invece la ragione. Anne (da noi conosciuta come Anna) Frank era una ragazzina come tante altre nata a Francoforte sul Meno, che viveva insieme alla propria famiglia composta dalla sorella Margot, dal padre Otto, e dalla madre Edith. Nell'agosto del 1933, poco tempo dopo che Hitler ebbe preso il potere, Otto Frank decise di trasferirsi in Olanda, ad Amsterdam, perché l'Olanda era un paese neutrale in cui lui e la sua famiglia avrebbero trovato la pace che sempre più in Germania agli ebrei veniva a mancare. Purtroppo di lì a sette anni: il 10 maggio 1940, anche l'Olanda verrà invasa, e gli ebrei che lì vivevano: 140.000, di cui oltre la metà: 80.000, nella sola Amsterdam, subiranno dapprima ogni sorta di limitazione alla propria libertà e quindi l'internamento, nei cosiddetti campi di lavoro, conclusosi molto spesso con la morte. Otto Frank ad Amsterdam si occupa di una fabbrica specializzata nella produzione di marmellate, la Opekta, situata al numero 263 di Prinsengracht. Anna, che era nata il 12 giugno 1929, giunse ad Amsterdam nel marzo del 1934 e dovette imparare una nuova lingua che si sostituiva alla prima, quella della madrepatria tedesca, una madre snaturata nei confronti di molti dei propri figli. E fu proprio in data 12 giugno 1942 che inaugurò il diario ricevuto in dono il giorno del suo compleanno. Al suo diario la  bambina si rivolgerà col nome di Kitty di lì a pochi giorni, quasi fosse un'amica immaginaria. Scriverà: "Spero di poterti confidare tutto, come non ho mai potuto fare con nessuno, e spero che mi sarai di grande sostegno". Circa due mesi dopo, il 6 luglio 1942, si trasferirà in un alloggio segreto fatto costruire dal padre con la complicità di alcuni amici dipendenti della Opteka, sempre all'interno della fabbrica al n° 263 della Prinsengracht. Saranno loro a rifornirli di viveri, libri, giornali. Alla famiglia Frank ben presto si unirà la famiglia Van Pels costituita da tre persone; e, in seguito, il dentista Fritz Pfeffer. La vita in quell'ambiente ristretto diventa difficile e Anna: provvista di un'intelligenza penetrante e precoce, un occhio critico a cui non sfugge nulla e dal dono dell'ironia - come scriverà Natalia Ginzburg nella bella prefazione del diario uscito nel 1964 - descriverà personaggi e situazioni con stile godibile e divertente, perché questo diario non comporta solo pagine traboccanti di disperata rassegnazione o intensa tristezza ma, anche, di situazioni comicamente spassose. Seppure la speranza si alterna con la delusione di non poter lasciare quella prigione tanto volontaria quanto necessaria, la quasi bambina prima e la quasi ragazza poi troverà nella scrittura la finestra dalla quale poter evadere. Il desiderio di diventare scrittrice a conflitto terminato dopo che questa guerra avrà esaurito una consistente parte di umanità (solo di ebrei sei milioni) la porterà a riscrivere molte sue pagine nella speranza che il ministro dell'educazione in esilio, così come aveva promesso di fare, le raccolga e pubblichi quando finalmente la guerra avrà appunto termine insieme a tutte le altre testimonianze scritte da una parte del popolo olandese. Che la piccola fosse all'altezza del compito prepostosi lo testimoniano sia le bellissime pagine del Diario sia i racconti, scritti in quello stesso periodo e raccolti successivamente in volume. L'ultima annotazione del Diario risale in data 1 agosto 1944. Tre giorni dopo, a fronte di una spiata, la polizia irrompe nel rifugio arrestando tutti gli occupanti, che dapprima finiscono in carcere e poi nel campo di Westerbork, sempre in Olanda. Dopodiché, nel settembre 1944 verranno trasferiti in Polonia, ad Auschwitz per poi finire, nell'ottobre 1944 a Bergen-Belsen, dove Margot e la sorella Anne moriranno tra il febbraio e il marzo 1945, poche settimane prima che il campo venisse liberato. Anna (ma forse è meglio chiamarla col vero nome di Anne, in rappresentanza di tutte le Anne del mondo che hanno sofferto e soffrono per la cattiveria e stupidità umane) è stata simbolo, suo malgrado, di una situazione di degrado stabilita da pochi uomini e imposta nonché accettata da molti, troppi esseri umani. Per questo occorrerebbe più rispetto per chi ha patito per non fare più ritorno alla vita alla quale si era appena affacciata. Per cui: leggete meno resoconti calcistici che tanto, come direbbe Chandler, "non valgono neppure la polvere da sparo necessaria per farli saltare all'inferno" e leggete invece più libri, tra i quali: piccoli o grandi che siate, il Diario di Anna Frank dovrebbe risultare, e risaltare, fra i primi. Concludiamo con alcune frasi di Anne. "Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane ancora". "È davvero meraviglioso che io non abbia lasciato perdere tutti i miei ideali perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare. Eppure li tengo stretti perché, malgrado tutto, credo ancora che la gente sia veramente buona di cuore. Se guardo il cielo lassù, penso che tutto tornerà al suo posto, che anche questa crudeltà avrà fine e che ritorneranno la pace e la tranquillità".

Antonio Mecca   


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