Niente allarmismi: l'Italia non è un paese razzista

Ma potrebbe diventarlo

Editorialisti, sociologi, giuristi, costituzionalisti, scrittori. La stanca e del tutto ininfluente, quando non è irritante, casta degli intellettuali italiani ultimamente si sta murando dietro a un tiepido e assai diplomatico mantra per non spaventarci ma neppure per contraddirci; nel dubbio meglio non dispiacere a nessuno. Coloro che avrebbero il dovere morale, civile e umano di metterci in guardia dai pericoli della xenofobia, sminuiscono, con molta classe e ragionevolezza, i sempre più frequenti episodi di intolleranza che si stanno verificando nel nostro paese.

Agli antipodi ci sono alcuni esemplari della stessa specie che per professione gridano alla vergogna. I principi dei salotti televisivi che nei loro instancabili tour delle trasmissioni, sentenziano oltre la barriera del suono la propria indignazione nei confronti dell’attuale e intollerante governo. Ci deliziano di continuo col proprio autocompiacimento. Con un’ipocrita e malcelata punta di modestia incapace di arginare un ego smisurato o con una conclamata tracotanza atta a impressionare noi popolino: “Ma sentite che cosa intelligente ho appena detto”! Ognuno di essi ha la verità in tasca. Ed è sempre quella assoluta. Verrebbe da pensare beati loro ma in verità sarebbe meglio dire poveri noi perché non dev’essere molta la considerazione nella quale veniamo tenuti da questi signori. E la tragedia è che forse non hanno torto.

Rimane la classe politica, la quale comprende: una sinistra decotta, da troppo tempo abituata a viaggiare sulla carreggiata di destra, che dal paiolo dell’opposizione mugugna sottovoce proclamini vagamente socialisti sperando in qualcuno della vecchia guardia rimasto per sbaglio (o per sfiga), in ascolto; un ex centro destra guidato da un anziano, intento a sottoporsi a periodici checkup che qualche mese addietro si scagliò contro l’italico populismo scordando di esserne stato l’artefice; un Movimento 5 Stelle, ancora non pervenuto, che assomiglia a uno stonato coro polifonico dove ogni membro, sempre incazzato, si compone da sé il proprio spartito. E infine la Lega, vera dominatrice di questo svilito campo da gioco chiamato Italia, capitanata da un leader quarantenne ossessionato dalla difesa personale, osteggiatore dei diritti civili per i gay e strenuo difensore di una patria ripudiata solo fino a ieri. Per tutte queste ragioni ma soprattutto per un repertorio lessicale da età prescolare, viene reputato simpatico e moderato; difatti piace alla stragrande maggioranza degli italiani che da tempo ha gettato alle ortiche il buon senso e la propria lingua e che se sente parole diverse da bello o bruttomagro o grassobianco o nero (i colori della moda estate 2018), si infuria non tanto per disaccordo ma più probabilmente perché non riesce a comprendere.

Dunque la Lega, mondata oculatamente da Lombarda per poter conquistare il Mezzogiorno, ha in effetti attecchito nelle aree non tradizionali in maniera sorprendente e inaspettata; ai garibaldini andò molto peggio dato che vennero accolti a fucilate. Merito del partito? Della sua giovane guida? Dei concetti espressi(buono-cattivo)? Senza alcun dubbio di tutto, perché la Lega ha compreso perfettamente con chi aveva a che fare: un popolo scoraggiato e incattivito che entra in chiesa pregando per se stesso ma maledice il suo prossimo per la strada; un popolo grossolano e egoista che quando dice noi, intende sempre io; un popolo che si fregia della propria storia senza conoscerla, delle proprie origini senza ricordarle, della propria terra senza mai rispettarla.

E con il nuovo ministro dell’istruzione e il suo vice le cose viaggeranno ancor più spedite in questa direzione. Il primo si preoccupa più di introdurre la figura del maestro di ginnastica alle elementari (forza Balilla!) che di riaprire le indagini per scoprire dove sia stato sepolto il cadavere del congiuntivo. Il secondo, o meglio, la seconda, candidamente dichiara che l’ultimo libro lo ha forse letto tre anni fa ma in virtù del suo nuovo ruolo avrà più tempo da dedicare alla cultura… Fate voi.

Non sorprendano questi due soggetti perché sintomatici della vera sciagura di questo periodo dove stiamo assistendo impassibili a un’inversione di parametri, con l’ignoranza assurta allo status di valore, in quanto sincera e genuina, mentre l’intelletto, snob e assai noioso, ne esce vilipeso e deriso. E più ignoranti diverremo meno saremo in grado di difenderci dalle enormità che ci rifilano ma soprattutto da noi stessi. E quando l’ignoranza regna, il razzismo prospera. Sempre.

Per arginare tutto questo rimarrebbe un'unica possibilità: la società civile. Da tempo preoccupata ma inerte, farebbe bene a non sottovalutare questo progressivo annichilimento della ragione a favore dall’istinto e sbrigarsi a realizzare che il tempo delle indignate chiacchiere da salotto è giunto al termine. Prendere una posizione netta, decisa, coraggiosa, senza compromessi, in ogni dove e in ogni momento, per arginare questa deriva oscurantista, è l’unica speranza che rimane a questo paese.

Ma qui giunge un intoppo. Purtroppo gli italiani, istruiti o incolti che siano, storicamente devono essere spinti al limite per riuscir a reagire e finché non vedono minata la propria condizione personale non sono certo esempi di attivismo civile: “se rimane fuori dalla porta di casa non è affar mio”, o se preferite il nostro classico cavallo di battaglia “Franza o Spagna purché se magna”.

Di conseguenza, considerate le nostre attuali condizioni, sì... l’Italia sta diventando un paese razzista.

 

Riccardo Rossetti

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