La virtù del riso

Da Cèline di Cristina Annino

Lo dico da sveglio, non sogno.
Quel polso di carne o cucchiaio, 
chi è? Toglie la visuale. Noi, si vive
gloriosamente toccando
 ancora le cose, ed è tanto, se
elenchiamo
le muffe di casa saltando 
gradini con in mano fiaccole. Ma
ogni volta la stessa solfa: chi fa tana 
per primo?

Nel dito appena dell'alba,
nella sua lente ruffiana, noi
si ride. Da tordi, da umani, poi
liquidi come risaie. Abbiamo 
riso d'essere negri, sassi, caldaie, 
diventando loro. Ché 
l'invisibile è il più evoluto 
movimento di luogo. Come
gli indiani al cine: il petto
aperto da spari di cristiani,
ruotano a lampade accese, e
nemmeno uno spirito cade. Cosi 
ridono i falegnami.
Mai
vocazione unta, tipo rime 
senza risaie, che non reggono
il lampo e un fulmine gli abbaia 
dietro. Ognuno sbatte
sul mondo, ed è vero, la sua faccia 
di rame. Fine. Allora chi è - e poi
grazie - quel cucchiaio di carne?