LE MIE VACANZE 1

In quegl'anni che molti considerano i dorati anni '60, iniziano i miei ricordi di vacanze estive. Tra luglio e agosto, quando mio padre soleva andare in ferie, si montava in auto: una 850 bianca con, almeno all'inizio, i pneumatici cerchiati di bianco, e che facevano pensare alla bocca di un grassone goloso che si fosse rimpinzato di paste alla panna, e si intraprendeva il lungo viaggio meta la Basilicata, terra originaria di entrambi i miei genitori, che si sperava non essere senza ritorno come il dramma di O'Neill verso il Sud. Mio padre era un operaio abituato a svolgere turni di lavoro in fabbrica che comprendevano il turno notturno, e quindi ecco che usava dormire nel pomeriggio per poter affrontare il lavoro dalle ventidue alle sei del mattino. Cercava così anche in quell'occasione di dormire al pomeriggio, per poi partire intorno alla mezzanotte. Dopo innumerevoli incazzature da parte sua e di mia madre ecco che finalmente: chiuso il gas, l'acqua, la corrente scendevamo nel parcheggio interno a recuperare la 850, vi caricavamo sul tetto i bagagli dove era stato installato il portapacchi, e occupando i quattro posti a noi destinati partivamo, ebbri di emozione. I miei genitori all'epoca erano sulla quarantina, e quindi ancora pieni di energia. Con mio padre più di una volta rischiammo di restare a secco sull'autostrada perché:
1) Voleva sapere quanti altri chilometri il motore era in grado di fare con l'occhio rosso del serbatoio stabilizzatosi sulla luce segnalante carburante al minimo.
2) Se non era una stazione di servizio Agip preferiva oltrepassare le altre stazioni perché l'Agip era - secondo una nota pubblicità dell'epoca - la potente benzina italiana.
E così mia madre si disperava per il timore che restassimo fermi in strada, che - sommato al terrore che provava durante i numerosi sorpassi, a quello dei tunnel che spesso erano scarsamente illuminati, soprattutto in Liguria, terra simbolo di risparmiatori che spesso sfiorano, e non soltanto sfiorano, l'avarizia, ecco che quando finalmente ci fermavamo per un'ora o due in un'area di servizio dopo che ci eravamo già stoppati ogni 50 km per la presenza di un casello, perché allora era così, ci apprestavamo a divorare il cibo preparato da quella santa donna di mia madre. Se non santa, martire di sicuro. Si trattava di un vero e proprio pic-nic, poiché servendoci del tavolino smontabile e dei seggiolini pieghevoli, si versavano dai termos che li contenevano carne e verdure nei piatti di plastica e: nei relativi bicchieri, vino addirittura e caffè, da degustare tra l'afrore della benzina bruciata e dei gas di scarico, che avrebbero finito di intossicare anche noi umani. Poi al termine dell'abboffata mio padre cercava, e di solito ci riusciva, di prendere sonno e: una volta smaltito il cibo ingurgitato e il vino bevuto, eccolo pronto a rimettersi al volante, che sotto il sole di solito bruciava alla grande, essendo di plastica, e quindi nel pomeriggio eravamo arrivati in Puglia e da lì in Lucania, prendendo la direzione per Potenza e intraprendendo quella per Rionero in Vulture, paese di nascita di mamma, e poi: cinque kilometri ancora, eccoci ad Atella, paese dove mio padre era nato e vissuto fino ai primi anni Cinquanta. Lì trovavamo mia nonna e sua madre, la mia bisnonna Angela Maria ad accoglierci e a raccoglierci, perché sfatti com'eravamo per le fatiche del lungo viaggio, proprio raccoglierci dovevano. Il vedere quelle due vecchie donne intabarrate di nero carbone mi faceva una strana impressione, che mescolata al calore del clima del luogo, agli odori della campagna circostante, a quello delle bestie da soma, al grufolare dei maiali, al pigolare delle galline sembrava smuovere emozioni stratificate da anni.

Antonio Mecca

L'INGLESE CANTANDO

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