MARZO

Racconto poliziesco di Macc Tony

Uscita la donna, richiuse la porta e cominciò la perquisizione. Dentro la borsa trovò un paio di camicie di ricambio ancora piegate come se fossero appena uscite dalla lavanderia, diversi fazzoletti, calze, mutande, una maglietta di cotone a mezze maniche. In una piccola borsa sempre di tela ma di colore verde, articoli per la toilette. Il poliziotto frugò nella borsa con attenzione, togliendo spazzolino, dentifricio, crema da barba, pennello, rasoio con lametta incorporata, deodorante spray e una confezione di allume di rocca rimargina ferite, un tagliaunghie, una piccola forbice, una scatola contenente cerotti. Quindi ripose il tutto nella borsetta, e la borsetta nella borsa, della quale aprì le tasche laterali scoprendone il contenuto: un ombrello retrattile, un mazzo di chiavi, una penna a sfera, un libro, il romanzo di Clara Gamber: “I clown stanno arrivando”. Sulla terza pagina il nome dell’Autrice, il titolo del romanzo e una dedica vergata a mano con una penna dall’inchiostro blu.

        “Ad Andrea, dal passante ferroviario a qui, 

con la stessa immediata simpatia.

 Clara”


Il libro era uscito nel 2002, e forse anche la dedica risaliva a quell’epoca. Il commissario rimise il libro là dove l'aveva trovato, spense la luce e uscì dalla stanza. Alla reception trovò la ragazza con i capelli neri intenta a parlare con un sorriso gentile dipinto sulle labbra a una coppia di mezza età appena arrivata - il loro bagaglio era sul pavimento, davanti al tavolo dell’accoglienza. Anna era in piedi, nei pressi della porta, con un'espressione nervosa sul bel volto. Quando Cardona entrò, gli rivolse uno sguardo interrogativo al quale il poliziotto rispose con un: - Non ho trovato granché. – A cui aggiunse: - Se dovesse tornare, mi avverta.

Le diede un bigliettino con sopra riportato il proprio nome e numero di cellulare, la salutò e ridiscese al piano terreno, questa volta a piedi. Dopodiché si diresse al numero civico in cui si trovava lo stabile - sempre di provenienza Ottocentesca – dove aveva abitato Clara Gamber prima che si sposasse. Era trecento metri più in basso, al numero 38, sullo stesso lato sul quale sorgeva il palazzo che ospitava l’hotel Oceania. Era piazzato tra una oreficeria e una pizzeria che spargeva nell’aria un gradevole profumo di pasta calda, pomodoro e acciughe. Questo ricordò a Cardona che se l’ora di cena non era vicina, quella del pranzo  era invece lontana, e lui non aveva certo neanche allora pasteggiato granché. Sulla porta dello stabile si trovava un uomo la cui pelle scura dai caratteristici tratti somatici lo denotava di origine filippina. Il poliziotto gli si avvicinò, mostrando al contempo il proprio distintivo.

- Polizia. Clara Gamber, che lei sappia, si trova in casa? 

- Penso di sì, io non l’ho vista uscire.

- E’ tornata a vivere qui da quanto?

- Saranno due settimane...

- Qualcuno è salito da lei? L’uomo non ebbe bisogno di pensarci su a lungo.

- Sì. Un uomo che le ha portato una borsa di libri.

- Quando, e chi?

- Forse un’ora fa. Ha detto di essere un commesso della libreria qui vicino, che la signora frequenta. 

- E adesso è ancora su da lei? – chiese Cardona già pronto a salire.

- No. L’ho visto uscire dopo una decina di minuti.

- Okay. Suoni il campanello del citofono e vediamo se la signora risponde.

Il portinaio eseguì. Nessuno rispose. Lui insistette. Il risultato fu però lo stesso.

- La chiami al telefono. Ce l’ha il suo numero?

- Sì.

- Allora la chiami.

L’uomo compose un numero corrispondente a quello di un telefono fisso. Gli squilli si succedettero agli squilli, ma nessuno rispose. Cardona allora tentò con il telefono cellulare della scrittrice, ma il risultato fu il medesimo. 

- Prenda la chiave universale e mi accompagni da lei. A quale piano abita?

- Al quarto. Quando furono di fronte alla porta dell’appartamento Cardona compose nuovamente il numero del telefono cellulare della donna, che si sentì squillare, il suono proveniva dall’appartamento. E’in casa – mormorò. Apra con cautela - aggiunse quindi, continuando a far squillare il telefono per coprire il rumore della chiave girata nella serratura. Estrasse la pistola e ne controllò la sicura. Era ancora sbloccata. La porta si aprì su uno stretto corridoio affiancato da una porta a destra dell’ingresso. Questa dava su un soggiorno di modeste dimensioni, arredato con un divano e quattro poltrone, un tavolo rettangolare e sei sedie, due librerie, un televisore e molti quadri effettivi la cui tela spesso faceva rimpiangere la tela mancante del televisore piatto. Proseguendo diritti ci si imbatteva in tre stanze: un bagno, una cucina e – fra l’una e l’altra – una camera da letto la cui porta semichiusa permetteva di visionare uno spicchio di interno da cui si intravedeva un cassettone con specchiera sulla cui superficie si rifletteva il letto a due piazze a destra dell’ingresso. Sul letto un corpo di donna era disteso con le braccia e le gambe legate e la bocca tappata da un grosso cerotto. Gli occhi invece erano aperti, spalancati in un muto grido di orrore.

Cardona spalancò da parte sua la porta con un calcio ed entrò piroettando su se stesso con il braccio teso alla cui estremità si trovava la mano con in pugno la pistola pronta a sparare. Ma non ce ne fu bisogno, poiché a parte Clara Gamber – la donna immobilizzata sul letto – nella stanza non c’era nessun altro. La donna venne liberata del cerotto messo a mo’ di bavaglio, e quindi dai legami che la immobilizzavano a letto.


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