I RACCONTI DEI LETTORI - SOPRAVVIVERE
SOPRAVVIVERE
(Bianco come il pelo della sua gatta)
A volte era bloccata senza riuscire neanche a tornare indietro in un
cunicolo che si restringeva davanti a lei, o in una strettoia in curva o
in un camminamento in cui risuonavano rimbombi di origine incerta.
Talvolta era uno stretto passaggio in un castello medievale, altre volte
una trincea le cui pareti le precipitavano addosso.
Incubi da cui si risvegliava urlando con il cuore che sembrava voler
uscire dalla sua scatola protettiva con un tambureggiare cupo e
frenetico.
Questa volta no, non si svegliava. Era sveglia e non riusciva a
muoversi. Lentamente il ricordo riaffiorò: il rombo, la casa che
franava, il terremoto, le urla.
Cercò di calmarsi, di respirare adagio, ma la polvere sollevata dal
crollo l’avvolgeva e le entrava nelle narici. Mosse la testa per
dissiparla, tossì mentre cercava una boccata pulita. Controllò lo stato
dei suoi arti.
I piedi apparentemente integri, funzionanti, erano bloccati non
capiva da cosa. Le braccia erano libere. Le sembrava che nulla fosse
rotto, solo la pelle di un avambraccio bruciava un po', forse escoriata.
Il buio intorno era compatto.
Cos'era successo? Era andata a dormire tardi. Aveva letto qualche
pagina dell'ultimo libro acquistato. Spenta la luce si era addormentata
dopo qualche giravolta.
La gatta bianca le si era sdraiata accanto come sempre. Tastò lungo
il fianco e impattò in una massa pelosa che al contatto della sua mano
si mosse appena con un miagolio sommesso.
"Ciao micia. Brava. Stammi vicino. Vedrai, verranno presto a liberarci."
Alzò un braccio e nel buio sbatté contro un blocco duro che non avrebbe dovuto essere lì.
Parte del soffitto era evidentemente crollato disponendosi però in
una posizione protettiva sopra al letto, creando una nicchia che le
lasciava uno spazio in cui sentirsi più libera.
Tastò sotto di sé. Il materasso aveva protetto lei e la gatta.
Il movimento tellurico aveva spinto il letto contro al muro. Sapeva,
sentiva, di non doversi agitare molto per liberarsi con movimenti
inconsulti.
Cercò di razionalizzare le sue paure che si erano concentrate in un avvenimento imponderabile e imprevedibile.
Come era riuscita a elaborare i suoi incubi ricorrenti grazie anche
all'aiuto di una terapeuta, riportandoli al ricordo ancestrale,
irrazionale, della difficoltà di superare il canale vaginale nel
travaglio prolungato della giovane madre, così ora doveva elaborare le
paure concrete: del buio, del silenzio, la claustrofobia invadente.
Non era mai stata brava con i numeri, ma si costrinse a contare
all'indietro da cento a uno e poi ancora e viceversa e ancora.
Dal soffitto crollato scendeva una polverina frammista a pezzi più
consistenti. Non capiva se di cemento o di legno. Strinse a sé la gatta e
perse conoscenza.
Si risvegliò.
Le sembrava di aver sentito delle voci. Cercò di urlare ma dalla sua bocca non uscì altro che un rantolo soffocato.
Tastoni cercò qualcosa, non importa cosa, per batterlo contro il blocco che la sovrastava.
Le sembrava che il buio fosse meno compatto. La notte era progredita verso l'alba.
Qualcuno stava cercando i sopravvissuti? La scossa era stata prolungata, seguita da altre meno intense.
Di certo lei non era l'unica ad aver bisogno di aiuto.
Per quanto disastrosi fossero i terremoti le ricerche di salvataggio dei superstiti erano in genere sollecite.
Lei però adesso non sentiva nulla, non rumori, non voci, non grida.
Solo qualche scricchiolio di assestamento.
La gatta faticosamente le si avvicinò ulteriormente. Forse era ferita. La tastò delicatamente. Ritrasse la mano appiccicosa.
Sangue. Era ferita.
Il non poterla aiutare aumentò il suo senso di impotenza.
La strinse a sé il più gentilmente possibile. Bagnò un dito con la
poca saliva che sentiva all'interno della bocca inaridita dalla polvere e
inumidì il nasino della micia.
Le parve lo gradisse.
Al dormiveglia continuo alternava momenti di lucidità scanditi dal brontolio sordo di altre scosse. Quanto tempo era passato?
Difficile mantenere la cognizione del tempo senza i
riferimenti usuali di alternanza tra luce e buio. Solo il brontolio
dello stomaco ormai vuoto era un vago indicatore del trascorrere delle
ore. E la sete, che si stava facendo più impellente. Una scossa di
assestamento più forte delle altre smosse l'asse che proteggeva la
nicchia in cui si ritrovava incapsulata.
Anche piccoli frantumi continuavano a cadere velando il suo corpo
come una coperta sottile. A fatica si puliva il volto con una mano
sempre più affaticata.
Non sapeva quanto tempo prima, il tempo era un concetto soggettivo,
aveva sentito uno gnaulio acuto e soffocato allo stesso tempo. La gatta
aveva disteso in avanti le zampe e non si era più mossa. La sollecitò
con una carezza. Invano.
La sua gatta era morta.
Quella compagnia muta l'aveva accompagnata in questa dolorosa avventura. Adesso era sola. Sul serio.
Nel dormiveglia forzato le si presentarono alla memoria amici,
nemici, occasioni in cui aveva fatto o non aveva fatto, dato o non dato.
Cose che ora le sembravano assurde, ininfluenti, vigliacche o
ineluttabili, anche positive ma vane.
Era questo il film che precorre la morte? Sarebbe finita così per
inedia, buio, arsura? Poteva bere il sangue del gatto, mangiare la sua
carne, novello Cristo salvifico. Il delirio invadente cominciava a
rodere il suo raziocinio.
Al di là delle persone e degli incontri, positivi o negativi, furono
le immagini a imporsi. Quasi cartoline ripescate dal fondo di un
cassetto.
Piccoli molluschi che si agitano nelle pozze lasciate dall'alta marea nelle discontinuità degli scogli.
Cupole di fronde ombreggianti a dare frescura ai viaggiatori
incantati in un finto silenzio di stormir di fronde e, a sera, la danza
delle lucciole.
Frinire di cicale, incessante. Un momento queste non erano cicale.
Era il mormorio di una sega, il battito irregolare di un richiamo.
Ricominciò a battere sopra di sé con quello che aveva riconosciuto essere il fusto del lampadario.
Quando la trovarono lo stringeva ancora in una mano. L'altra formava un nido intorno al gatto esanime.
Una mano delicata rimosse la patina di polvere che la copriva. Sopra
la fronte un ciuffo inequivocabilmente bianco spiccava tra i suoi
capelli scuri.
Bianco come il pelo della sua gatta.
BEATRICE BARBIERI