ANCHE I GIORNALISTI MUOIONO

Ma li ricordiamo nei loro articoli e nei loro libri

Giampaolo Pansa apparteneva alla pattuglia di agguerriti giornalisti che presero a usare il piombo delle tipografie dopo magari avere utilizzato quello delle armi da fuoco perché facenti parte di formazioni armate, sebbene lui, essendo nato a Casale Monferrato il primo ottobre 1935 era di certo troppo giovane per aver potuto militare nell'una o nell'altra parte, come giustamente ebbe modo di far notare nel corso di una trasmissione televisiva a chi lo rimproverava per non aver rivelato prima gli orrori e gli errori avvenuti nel dopoguerra, cosa questa però rivelata e disvelata da altri, anche se la verità quando è nuda indigna. Guareschi fu tra quelli che su "Candido", nella sua rubrica "Messico d'Italia, denunciò i vari morti ammazzati che pare ammontassero a ben 4500.
Pansa, laureatosi con 110 e lode in Scienze Politiche all'università di Torino con la tesi "Guerra partigiana tra Genova e il Po", che vinse il premio Einaudi e nel 1967, venne pubblicata in volume da Laterza, su consiglio di Alessandro Galante Garrone prese a interessarsi agli studi storici sulla seconda guerra mondiale e sulla Resistenza italiana. Nel 1961 entrò nelle file di giornalisti del quotidiano "La Stampa", mentre dal 1964 al 1968 fu tra i collaboratori del quotidiano milanese "Il Giorno", insieme all'altro suo illustre corregionale Giorgio Bocca. Dal 1969 al 1972 rientrò a "La Stampa", sempre però restando nel capoluogo lombardo, mentre dal '72 al '73 ci fu una breve sosta al quotidiano romano "Il Messaggero", come redattore capo. Dal 1977 al 1991 fu inviato speciale de "La Repubblica", e dall'ottobre 1978 venne nominato vicedirettore. Dal 2000 coprì la carica di editorialista. Nel frattempo, a partire dal 1983, collaborò ai settimanali "Epoca", "L'Espresso", "Panorama" e ancora "L'Espresso" con le rubriche "Bestiario" e "Chi sale e chi scende". E fu qui che nel gennaio 1987 se la prese con Leonardo Sciascia affermando di non riconoscerlo più dallo Sciascia numero uno che aveva avuto modo di conoscere in una intervista effettuata nei primi anni '60. Questo perché Sciascia aveva affermato esserci un gruppo di magistrati denominati professionisti dell'antimafia, i quali facevano - per parafrasare Shakespeare- tanto rumore per nulla. Lo scrittore siciliano descrisse il giornalista piemontese come un ascensorista che faceva salire o scendere a suo piacimento chi voleva, quasi una sorta di padreterno autonominatosi, un lift insomma che usa il lifting per aggiustarsi la faccia dopo avere rischiato di perderla definitivamente.
La scrittura di Pansa fu di alto livello, testimoniata dai suoi moltissimi articoli, dai libri, e dai tanti neologismi creati a indicare personaggi o formazioni o deformazioni varie, quali "Balena bianca" a denominare la Democrazia Cristiana, "Parolaio Rosso" Bertinotti, "Dalemoni", invece, D'Alema e Berlusconi colpevoli secondo lui di un inciucio in atto in quella tragicommedia che la politica nostrana quasi sempre è.
Negli ultimi anni Pansa approdò a "Il Riformista", "Libero", "La Verità", "Panorama" per poi, dal settembre 2019, fare rientro al "Corriere della Sera" seguendo l'esempio illustre di Indro Montanelli, che per lustri e lustri aveva scritto sul Corriere per poi farlo nuovamente negli ultimi anni della sua vita. Dal 2002 al 2010 Giampaolo Pansa pubblicò sei romanzi: "Ciclo dei vinti", che descrivevano le violenze subite da ex fascisti e non solo da parte dei nuovi vincitori. Questo gli procurò un ostracismo da parte di buona parte della Sinistra storica che lo accusò di tradimento per le posizioni prese.

Antonio Mecca     

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