A MILANO, UNA RIVOLUZIONE PIU’ GREY CHE GREEN
- 29 novembre 2023 Cultura
Con un po’ di immaginazione pensiamo ai Bastioni alberati di Porta Venezia su tutto il perimetro della circonvallazione (Mura spagnole). Così si presentava Milano un tempo. Certo al di fuori di questa cerchia la città ancora non esisteva, ma la passeggiata alberata era oggetto di ammirazione per i forestieri e ameno luogo di ritrovo per i milanesi. Poi arrivò il futuro. Con il Piano Beruto(1889), Milano si estese oltre i propri bastioni, demoliti gradualmente assieme agli alberi che li adornavano. In zona est, aperta la Porta del Monforte (in seguito rinominata Piazza del Tricolore), si provvide alla costruzione di grandi viali alberati, che pian piano si sarebbero sempre più allungati in direzione dell’Ortica: Corso Concordia, Corso Indipendenza, Viale Piceno, Viale Argonne. Un’imponente alberatura e la grande ampiezza delle nuove arterie, dai 40 ai 60 metri, per dar respiro alla Milano in crescita, avrebbero almeno in parte sopperito alla madornale perdita di verde subita. E così fu. Le vecchie foto mostrano viali rigogliosi dove i milanesi passeggiavano lieti. Nemmeno i bombardamenti del ’43, perdemmo 50000 alberi su 80000, cancellarono questo approccio; rifacemmo tutto come prima. Ma col passare del tempo ci si accorse che la manutenzione del verde costava tempo e denaro. A cavallo del millennio Piazzale Dateo entrò a buon diritto tra i primi esempi del futuro approccio al verde pubblico meneghino; una granitica fontana, mai irrorata e tuttora in stato di abbandono e una lastricata di cemento al posto delle prospere aiole. L’artistica opera, somigliante a tante piccole lapidi, fu presto ribattezzata da alcuni residenti il campo santo. Con lo sdoganamento definitivo di internet, dei social media e dei nuovi esperti di comunicazione anche il verde è divenuto oggigiorno un prodotto da vendere ai consumatori e non un bene da donare ai cittadini. Armati di scudi fatti di rendering e di spade forgiate nell’analfabetismo (voluto ma non sempre), i nuovi guru della comunicazione hanno pian piano mutato la percezione del reale. Basti pensare che sul sito della Biblioteca degli Alberi a Porta Nuova viene riportato con vanto che gli alberi formano 22 foreste circolari. Spacciare quell’esiguo fazzoletto di terra, con più sintetico che verde, per parco rappresenta già un azzardo, ma definire foreste gli sparuti alberelli, oltre a ridefinire la lingua italiana, segna la definitiva dipartita del buon senso.
Tornando al vecchio Corso Concordia, dopo i lavori per la M4, il risultato finale è sotto gli occhi di tutti. Dopo tante pompose parole, usate naturalmente per l’effetto e mai per il significato, disegnini computerizzati da mostrare a noi bambini e promesse fatte di un bucolico futuro color smeraldo, il presente risulta drammaticamente grigio: l’unica cromia a dominare incontrastata. Due sparute aiuole, pochi alberi, tanto cemento e un traffico imbottigliato in due misere corsie. Il nuovo Corso Concordia ha messo praticamente d’accordo tutti sulla sua incontestabile desolazione, cambiando la propria toponomastica nel gergo di quartiere in Largo Concordia.
Gli alberi col tempo cresceranno e il colpo d’occhio risulterà più piacevole. Ma nulla potrà restituirci uno dei viali più belli di Milano. Concordia è solo tra gli ultimi di una serie di quadri contemporanei dominati dal cinereo: Piazza Sant’Agostino rappresenta un altro lampante esempio di squallida landa desolata definita da tutto tranne che dal verde. Se si pensa poi che le massicce pavimentazioni dove fanno timidamente capolino tronchetti asfittici, una di fianco alla Fondazione Feltrinelli e l’altra adiacente Corso Como, sono definiti giardini, tutto assume più senso. D’altro canto, se alla Biblioteca degli Alberi stati allucinatori portano a vedere delle foreste, questi si possono definire a buon diritto giardini.
Concludiamo con un caso in controtendenza: la Via Mameli. Piantumata intorno al 2002, avrebbe potuto divenire araldo di una vera ed effettiva rivoluzione verde, se altre vie ne avessero seguito l’esempio. Il progetto iniziò e terminò lì. Le aiuole erano, e sono, spesso maltenute, gli alberi hanno continuato a morire perché privi di irrigazione e le segnalazioni dei cittadini sono scemate sempre di più per la mancanza di un interlocutore.
Come accennato in principio la cura del verde, quello vero, costa tempo e denaro. Meglio blandire i milanesi con slogan ad effetto e, ad opere realizzate, tentare di convincerli che il grey è il nuovo green o che sono affetti da una forma di daltonismo collettivo.
Riccardo Rossetti