ANGELI DEL MALE
- 30 giugno 2020 Cultura
Di Antonio Mecca
Puntata 7
Mercoledì notte. L’auto pattuglia procedeva per le strade della città a velocità ridotta, come una barca solcante le torbide acque di un canale dal fondale infido. I due agenti perlustravano i quartieri a loro assegnati con l’occhio attento ma disincantato di chi tutto ha già visto dello squallore morale che una città in disfacimento può generare, pronti a fronteggiare con ferocia il male perché essi stessi ormai erano il male. Non parlavano fra loro, perché con la mente ciascuno era rivolto a qualcosa di personale. Bardini alla donna che in quel momento era probabilmente già nuda nel letto ad aspettarlo; Savelli alla donna che di lì a poco sarebbe morta per mano sua.
Quando imboccarono corso XXII marzo Angelo rallentò per svoltare poi in una via traversa costeggiata di vecchi palazzi ottocenteschi, una via tranquilla e relativamente silenziosa anche di giorno. Bardini scese dall’auto, attraversò la via e suonò al campanello di un portone. Subito questo si schiuse con uno schiocco che pareva il sonoro bacio che da lì a un istante l’uomo avrebbe ricevuto, e dopo che l’agente fu sparito all’interno Savelli aspettò cinque minuti prima di riavviare il motore dell’auto e ripartire. Rientrato in corso XXII marzo premette sull’acceleratore e raggiunse corso Venezia nel giro dei cinque minuti previsti. L’abitazione della Castorini era in una via laterale del corso, una strada alberata attraverso il cui fogliame la bianca luce dei lampioni presenti filtrava con la luminescenza di un sogno adolescenziale rievocato e rimpianto dalla mente ormai matura di un adulto. Sceso dall’auto Angelo si avvicinò alla pulsantiera dei campanelli e premette quello con la targhetta riportante le lettere L.C.
Fece pressione due-tre volte, rapidamente e nervosamente. Poi dal videocitofono giunse una voce femminile.
- Chi è? - La voce aveva il timbro giovane e il tono allarmato.
- Polizia, signorina Castorini. È successo un incidente al . - Devo salire per farle qualche domanda.
- Cosa gli è successo?
- Apra, per favore.
La donna tramite la videocamera aveva modo di vedere chi stava al portone. L’uomo che le stava parlando portava la divisa da poliziotto, per cui rassicurata aprì.
- Terzo piano, scala C - specificò. Savelli salì a piedi, le gambe che facevano gli scalini a tre per volta. Quando giunse sul pianerottolo del terzo piano una delle due porte presenti era aperta e dall’interno dell’appartamento fuoriusciva la luce intensa di una forte lampada. Una donna con indosso una vestaglia rosa tempestata di perle apparve sulla soglia. Era molto bella, pure se - a quell’ora di notte - fosse priva di trucco. Aveva negli occhi una luce accesa, una luce intensa che non doveva essere stata solo la sgradita sorpresa a procurarle.
– Allora? Cosa è successo a Damiani?
Angelo sapeva che doveva agire, e agire in fretta. I minuti erano contati, i secondi decisivi. Con una mano tappò la bocca della ragazza e le sbatté la testa contro la parete, mentre con l’altra richiudeva la porta di ingresso. Poi, riuscendo a impedirle di divincolarsi, le piazzò il braccio destro sotto il collo e tirò all’indietro fino a spezzarglielo. La lasciò scivolare a terra, con l’accappatoio che si era aperto come un sipario a mostrare la nudità del suo corpo, quel corpo famoso esaltato dai maestri della fotografia e diffuso su milioni di copie di riviste concepite per concupire altrettanti milioni di devoti ammiratori. Gli sembrò quasi di avere compiuto un atto sacrilego, non soltanto l’uccisione di un essere umano, bensì la distruzione di un’immagine sacra, di una donna trasformata in dea e resa sacra dal circuito mass mediatico. Un rumore lo fece bruscamente voltare. Un uomo stava in piedi nel corridoio, con indosso un vestito malamente infilato. Vide la scena, gli occhi che dalla sorpresa passavano al terrore, le gambe che scosse da un tremito minacciavano di non reggerlo più. Si voltò per fuggire nella camera da letto, la stessa camera nella quale aveva passato, fino a pochi minuti prima, momenti belli. Era un uomo che faceva tremare i suoi dipendenti, Dominici. Aveva un piccolo esercito di sarti, di disegnatori che lavoravano per lui e che lui dirigeva con pugno di ferro. A parte qualche modello che ancora disegnava personalmente, tutto il resto era opera della fantasia sfruttata e del talento mal pagato di giovani ingegni privi di nome che lavoravano molto e guadagnavano assai meno e che soprattutto dovevano combattere la frustrazione di vedersi scippati delle proprie creazioni sulle quali veniva piazzata la firma illustre del grand’uomo. E con quale degnazione accettava una simile cosa, Dominici. Sembrava un onore che si degnasse di rubare il lavoro altrui. Tutto questo Savelli lo sapeva, e nel vederlo tremare e avanzare affannato verso quello che l’uomo riteneva un rifugio con le gambe che parevano pesanti come se immerse nel cemento a presa rapida lo fece quasi scoppiare a ridere. Con la destra sfilò la cintura dalla vestaglia di Laura e si gettò all’inseguimento dell’uomo. Raggiuntolo fece volare al di sopra della sua testa la corda di seta e rapidamente - ancora prima che gli sfiorasse il collo - le fece fare un altro giro in maniera da formare una sorta di nodo scorsoio. Quindi tirò all’indietro con le braccia mentre con la gamba puntata sulla sua schiena lo spingeva violentemente in avanti. La cosa durò poco, il tempo necessario per causarne la morte. Savelli lo osservò attentamente, fino ad essere sicuro del suo avvenuto decesso. Poi effettuò una rapida perlustrazione della casa ma non trovò nessun altro. Tornò in soggiorno. Laura Castorini giaceva immobile nello stesso punto in cui si era prima afflosciata. Guardò il proprio orologio. Le due e un quarto. Erano passati i una ventina di minuti da quando aveva lasciato il suo collega nella casa della sua amante. Tese l’orecchio davanti alla porta di ingresso. Non trapelava alcun rumore Aprì la porta con cautela, per poi richiuderla una volta uscito sul pianerottolo. Scese le scale con passo rapido ma sicuro, senza provare alcun affanno. Aprì il portone di ingresso e guardò in strada. Nessuno transitava in quel momento. Si diresse alla propria auto, vi salì e ripartì velocemente.