ANGELI DEL MALE

Di Antonio Mecca
Puntata 10

Pensò a Savelli. Aveva visto giusto, aveva immaginato bene. Quella sera che lui si stava intrattenendo con Marta se ne era andato a casa della modella e l’aveva assassinata, per favorire l’ascesa al successo della ragazza della quale si era invaghito. Però, quell’Angelo: un vero e proprio angelo nero, che aveva avuto le palle di uccidere a sangue freddo due persone e poi di tornarsene subito dopo, come se niente fosse accaduto, nei pressi della casa dove lui e Marta facevano l’amore.

Era ormai giunto in corso XXII marzo. Il suo nuovo collega svoltò nella dolce viuzza del mercoledì sera, come spiritosamente la chiamava, fermandosi non lontano dalla casa di Marta.

- Ci vediamo fra mezz’ora - disse Cesare scendendo dalla macchina. Attraversò la strada, suonò al portone, che gli venne quasi subito aperto e salì le scale in fretta. Sul pianerottolo la porta di casa della sua amante era dischiusa, ma lei non era lì sulla soglia ad attenderlo. Lui aprì del tutto la porta ed entrò. Sentiva il suono del televisore acceso che trasmetteva quello che pareva essere un film. Strano, perché lei non aveva l’abitudine di guardare la televisione a quell’ora di notte, erano appena passate le due. Aveva varcato la soglia del soggiorno dal quale proveniva il suono del televisore che un’ombra si materializzò alle sue spalle. Lui non la vide, ma ne percepì la presenza. 

Stava per voltarsi, quando il primo proiettile lo raggiunse alla schiena. Il movimento rotatorio del suo corpo si bloccò all’istante, e ne iniziò un altro, di caduta verso il pavimento. La pistola munita di silenziatore sputò ansando altri due colpi. Uno di questi centrò Cesare Bardini in testa, frantumando con essa anche tutte le speranze, tutti i sogni che all’interno conteneva. Poi l’assassino tornò nel soggiorno e spense il televisore. Il cadavere della donna era accasciato accanto al divano, dove lui l’aveva trascinato dal corridoio due ore prima. Il corpo sotto la vestaglia era nudo, come lo era stato quello di Laura Castorini. Era solo molto meno bello, e ancora meno sodo. Per Savelli non era stato difficile entrare. Aveva forzato la serratura del portone con un passe-partout in sua dotazione fin dai tempi in cui era ancora pulito e intendeva restarlo. Poi dopo essere salito al secondo piano aveva accostato l’orecchio davanti alla porta dell’appartamento e non avendo udito nulla aveva estratto di tasca un telefono cellulare sequestrato a un tossicodipendente e formato il numero della donna. Un paio di volte era stato ospite a casa sua, e sapeva quindi che il telefono fisso si trovava sul comodino della camera da letto, nell’ultima stanza della casa, in fondo al corridoio. Dal momento in cui lei avrebbe risposto a quello in cui avrebbe riagganciato sarebbero trascorsi alcuni secondi, sufficienti per poter forzare la serratura, non particolarmente complicata. E infatti andò proprio così. Cominciò ad agire sulla porta nell’istante stesso in cui sentì la donna varcare la soglia della camera. Udì la voce di Marta provenire da due punti diversi: dalla stanza, e dal telefonino che ora aveva riposto nella tasca.

Lo schiocco della serratura che cedeva precedette, sia pure di poco, quello del telefono che veniva riagganciato con rabbia. La porta di ingresso si aprì, e lui entrò nel corridoio semibuio. Sentì la donna tornare dalla stanza, con passo pesante. Poi le si manifestò. Lei spalancò gli occhi e la bocca per il terrore. Prima che l’urlo fuoriuscisse, Savelli le sparò due colpi al petto. Per maggiore sicurezza le sparò un altro colpo, questa volta alla testa. Quindi si dispose all’attesa sedendo nel soggiorno, ascoltando a basso volume la televisione. Quando il citofono suonò, lui si alzò e premette il pulsante di apertura del portone. 

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