Anna Frank - La libertà negata

La rilettura del Diario di Anna Frank non può non lasciare scossi. Perché apprendere dalla viva voce di una ragazzina che aveva 13 anni quando entrò nel rifugio segreto fatto approntare dal padre Otto negli uffici della ditta di Amsterdam da lui presieduta e 15 quando: a causa di una spiata da parte di non si sa ancora chi (uomo, donna, ma in un un caso o nell'altro sempre di una carogna si è trattato) venne scoperto e: insieme alla famiglia e ai quattro elementi delle altre due che condividevano le altre stanze a loro assegnate furono trasferiti nel campo di concentramento di Auschwitz prima e in quello di Bergen Belsen poi, dove languirà insieme alla sorella Margot per un altro anno, prima che la morte arrivi a liberarle definitivamente.
Procura una grande tristezza leggere le parole che una poco più che bambina prima e una poco meno che ragazza poi scrive sulle pagine del diario rivolgendosi all'immaginaria amica Kitty, perché Anna era desiderosa di avere un'amica, una confidente della sua stessa età alla quale rivolgersi per sfogare l'amarezza di quei lunghi giorni confluiti in settimane, mesi, anni, senza che quella dannata guerra giungesse al termine, perché sei anni durò la seconda guerra mondiale, voluta da un pazzo. Per colpa di mentecatti di quella fatta una etnia presente da millenni sulla faccia della Terra, una faccia spesso impresentabile per colpa di taluni elementi, è stata imprigionata, torturata, sterminata, privata della libertà che le spettava, costretta a lasciare il proprio Paese quando vi risiedeva e a chiedere asilo all'estero, per smettere di avere l'assillo della cattura imminente. Anna e le altre; e gli altri.
Provate a immedesimarvi in una ragazzina che non desidera altro che la propria libertà, il proprio bisogno fisiologico di correre, ridere, gioire, amare. Ma che non può, perché non deve; perché le è proibito, perché le è stata tolta la libertà dapprima scientemente, crudelmente, riducendo alla sua gente gli orari nei quali possono (possono!) circolare, riducendo gli esercizi che possono frequentare, le scuole alle quali possono iscriversi; e poi la libertà totale, la vita stessa, il tutto con una efficienza burocratica da far accapponare la pelle. E, naturalmente, la possibilità di lasciare il Paese. Fa impressione leggere queste pagine, che la giovanissima e intelligentissima Anna descrive rapportandole al suo mondo interno, un microcosmo dove gli adulti non possono essere compresi da lei, dalla sorella Margot, dall'amico Peter. E gli adulti non possono comprendere loro. Che tristezza leggere queste pagine, dove in nuce si intravede ciò che Anna Frank sarebbe potuta diventare: un'ottima giornalista e una brava narratrice, come stanno a testimoniare i racconti da lei composti sempre in quel disgraziato periodo. E anche per questo dobbiamo dire "grazie" a un dittatore ancora da troppi osannato e agli attuali despoti che hanno talmente in odio le donne da imprigionarle in orribili vesti attillate e da impedire adesso che anche la loro peccaminosa voce si possa sentire. Come già non si sente ciò che dicono in piazza, anche perché per loro la piazza non esiste,  

Antonio Mecca

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