BUONE CINQUE GIORNATE A TUTTI

Da bambino i miei mi portavano in Corso XXII Marzo per assistere alla rievocazione storica delle nostre gloriose Cinque Giornate: c'erano i cannoni, le barricate, i patrioti e l’occupante straniero. Tutto si svolgeva proprio alla vecchia Porta Tosa dove, nel 1848, i milanesi riuscirono nell'impossibile: conquistare, anche se per poco, la propria libertà contro l'esercito più forte che il mondo avesse visto fino a quel momento.
Era un’occasione di festa; un modo di rinverdire la memoria per gli adulti e di far scoprire ai più giovani quanto avesse contato in passato la loro Milano.
Non rammento in che anno tutto cessò. Oggi, i giorni tra il 18 e il 22 marzo, trascorrono come sta trascorrendo tutto questo periodo; senza tempo e senza traccia. Ma, considerata la moderna, opportunista e deviante comunicazione, se qualcuno proponesse di dare nuovamente vita alle celebrazioni in pompa magna, come minimo verrebbe tacciato di sentimenti antiaustriaci.
Sono ormai trent'anni che studio la storia della ottocentesca Milano e l’amara considerazione a cui sono giunto è che il nemico di allora, per quanto spietato, feroce e invincibile, era molto meno subdolo e pericoloso di quello attuale; noi stessi.
Causa la lobotomia social, l’aver ridotto le persone non più a cittadini ma a meri consumatori, l’individualismo sfrenato, sfociato ormai nell'anarchia sociale, i milanesi di oggi sono disgregati, smarriti, aggressivi e pronti a scannarsi l’un l’altro per futili inezie. La nostra moderna e spavalda tracotanza è sinonimo purtroppo di un’insicurezza e un timore del futuro che si verifica solo quando si è stati privati del proprio passato. Siamo come i nostri alberi, caduti nella tempesta dello scorso luglio; a un primo sguardo invulnerabili, imponenti, maestosi. Ma la burrasca ha rivelato che era solo apparenza. Senza radici e un compatto terreno a cui ancorarsi, le ciclopiche illusioni crollano.

Non erano illusioni quelle per cui si sacrificarono i nostri avi. Siamo qui perché lo dobbiamo a loro. Forse non costruiremo mai barricate con carrozze e mobilio; non scaglieremo pietre e laterizi in risposta alle schioppettate. Non avremo mai idea di cosa significhi il sacrificio personale in nome del bene comune.
Ce lo hanno fatto dimenticare e gran parte della nostra infelicità deriva anche dall'aver smarrito un’identità. Tuttavia le barricate morali si possono ancora opporre al vuoto individualismo che ci viene propinato come stile di vita. Le parole possono essere adoperate come pietre per difendersi dai plagiatori pallettoni sparati dagli analfabeti cannoni del marketing. E il sacrificio non deve essere estremo, ma una semplice rinuncia al proprio fragile ego per scoprire che un apparente nemico può invece dimostrarsi un prezioso alleato.
Non morirono per vederci far la guerra tra noi. Lo fecero perché il NOI potesse divenire un’inviolabile certezza in grado di affrontare e superare qualsiasi avversità.
Buone Cinque Giornate a tutti
Riccardo Rossetti

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