IL PATHOS ARTISTICO DI UN GRANDE ATTORE
Carl Adolf Von Sydow ci ha lasciato sullo schermo le sue stupende interpretazioni per settant'anni
L'otto marzo
è mancato un grande attore svedese: Max Von Sydow, pseudonimo o meglio nome
accorciato di Carl Adolf Von Sydow, nato a Lund: città della Svezia, il 10
aprile 1929 e morto a Parigi: dove viveva da tempo e aveva acquisito la
nazionalità francese dopo avere sposato una francese in seconde nozze. Figlio
di genitori benestanti - padre etnologo, madre baronessa - il giovane Carl
Adolf studia al Royal Theatre Dramatic di Stoccolma avendo tra i suoi compagni
di studio anche la bella e brava Ingrid Thulin, futura attrice feticcio insieme
a Bibi Andersson, del grande regista Ingmar Bergman, che avrà modo di
incontrare mentre era impegnato a recitare a teatro. Sarà del 1957 il suo primo
ruolo importante nel Cinema proprio con un film diretto dal maestro svedese, e
precisamente: "Il settimo sigillo", a distanza di sei anni dal suo
esordio cinematografico avvenuto con "La notte del piacere", tratto
dalla commedia di August Strindberg "La signorina Julie". Il cinema
lo assorbirà molto nei suoi sessant'anni di attività di attore, facendolo
partecipare a più di cento film. Un attore così bravo Hollywood non poteva
lasciarselo sfuggire, e infatti nel 1965 lo ingaggerà per la pellicola diretta
da George Stevens "La più grande storia mai raccontata", dove
ricoprirà il ruolo di Gesù dopo coprirà figure ben più sottili perché prive di
spessore nei confronti del fondatore del cristianesimo. Fra le pellicole
americane di Von Sydow da lui interpretate ce ne furono alcune di grande
successo come nel 1973, "L'esorcista", in cui aveva il ruolo di un
sacerdote archeologo ed esorcista; due anni dopo, quello del killer nel famoso
"I tre giorni del condor" e - nel 1976 - eccolo partecipare a ben tre
film italiani di grande spessore: "Cuore di cane", di Lattuada,
tratto da uno dei capolavori dello scrittore russo Michail Bulgakov, "Il
deserto dei tartari", dal capolavoro dello scrittore italiano Dino
Buzzati, e "Cadaveri eccellenti", di Francesco Rosi da uno dei non
pochi capolavori dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia "Il contesto".
Max Von Sydow si dividerà tra film di grande impatto di pubblico come nel 1980
"Flash Gordon", e di grande valore di critica, ma - sempre - carichi
di quello spessore artistico che solo un grande attore possiede. Nel 1986 verrà
chiamato da Woody Allen per girare il film "Hannah e le sue sorelle",
nel periodo nel quale l'autore americano era preso dalla fregola di voler
imitare l'italiano Fellini e lo svedese Bergman, tanto da sperare di poter
avere anche lui un posto: Il posto delle "fregole", nel pantheon dei
registi impegnati. Von Sydow nei suoi cento e più film nonché nei suoi lavori
televisivi (e naturalmente, nelle commedie recitate sul palcoscenico) è stato
un attore che sapeva calamitare l'attenzione dello spettatore senza bisogno di
sbraitare ma "limitandosi semplicemente" a interpretare, un po' come
il nostro grande Eduardo De Filippo che usava recitare per sottrazione il
proprio ruolo da qualsiasi enfasi attoriale. Un grande attore è ben conscio del
fatto che si può e si deve lavorare sul personaggio mettendoci la propria
sensibilità che, unita alla propria bravura, costituirà il pathos artistico
necessario alla buona riuscita del lavoro affidatogli.
Antonio Mecca