Commemorazione anniversario della morte di Rita Atria e di Andrea Savoca
- 25 luglio 2021 Cultura
Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani
in occasione del 29° anniversario della morte di Rita Atria, la più giovane
collaboratrice di giustizia morta suicida dopo il 26 luglio del 1992 dopo la
Strage di Via d'Amelio, intende ricordare la sua integrità morale e il suo
rifiuto a tutte le regole antiche dell’assoggettamento mafioso.
Rita Atria diciassettenne di Partanna la mafia l’aveva conosciuta fin da
bambina, a 11 anni perse suo padre, pastore affiliato a Cosa Nostra, ucciso in
un agguato mafioso. Dopo la sua morte, Rita si legò ancor più a suo fratello
Nicola, anch'egli mafioso, ucciso nel 1991.
Troppo dolore per una ragazza così giovane e così lontana interiormente da
quella Sicilia di sangue alla quale non apparteneva e non voleva
appartenere.
Rita scelse la strada del Bene. Insieme a sua cognata, Piera Aiello la
moglie di Nicola Atria, cercò nella magistratura la giustizia per quegli
omicidi inaccettabili che la segnarono per sempre.
E la Giustizia si materializzò in Paolo Borsellino: fu il magistrato
palermitano a raccogliere tutte le sue rivelazioni, tutte le sue paure e quella
solitudine che aveva sempre sentito.
Le rivelazioni di Rita consentirono alla Giustizia di arrestare numerosi
mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala. E consentirono a lei stessa di
riabilitarsi, di provare a ricostruire una nuova vita, di credere nel suo sogno
di riscatto.
Con il giudice Paolo Borsellino nacque fin da subito un legame fortissimo.
Come ha più volte affermato sua sorella, il giudice palermitano provava nei
confronti della giovanissima donna un grande affetto paterno. Rita era per lui
la sua picciridda e Borsellino era per lei il suo confessore segreto, il
tutore delicato e amorevole, il padre che la mafia le aveva negato e che la
Giustizia, ora, le stava dando.
Il 26 luglio 1992, dopo l’assassinio del giudice Giovanni Falcone e del
“suo” giudice Paolo Borsellino, Rita perse ogni speranza e si suicidò
gettandosi dal quinto piano del palazzo dove le stava dando protezione la
polizia, nella via Amelia di Roma, quartiere Tuscolano.
Tutto, una settimana esatta dopo la Strage del 19 luglio 1992 che costò la
vita al magistrato a cui la giovane aveva deciso di confidare cosa c'era dietro
alle morti per mano della mafia che avevano colpito la sua famiglia.
“Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno, perché uccisero coloro
che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo
nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito”.
Così scrisse Rita nel suo diario, insieme a tante altre cose che non sono
mai state pubblicate integralmente, pur essendo in parte ricostruite perché la
sua vita dolorosa ed emblematica è stata spesso revocata in teatro, nei libri,
nei film.
Rita Atria rappresenta per il nostro Paese una luce di speranza non solo
per chi senza colpe si ritrova a nascere e crescere in un mondo fatto di male e
morte, ma anche per tutti i cittadini che riescono, attraverso la sua tragica
storia, a comprendere quanta forza e quanto coraggio sono stati posti
sull'altare della Giustizia per permettere all'Italia di liberarsi dal cancro
della mafia.
“Finché giudici come Falcone, come Paolo Borsellino e tanti come loro
vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità contro tutto e
tutti. L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi
che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose
semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non
perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo
per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci
impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la
faremo”.
Anche questo scriveva Rita sul diario prima che il dolore e la solitudine
ponessero fine alla sua vita, dopo appena tre giorni dal suo arrivo a Roma, sotto
la protezione dell’alto commissariato antimafia.
Il CNDDU in occasione del 29° anniversario della morte di Rita Atria
intende ricordare la sua straordinaria figura, la quale rappresenta un
grandissimo esempio di giustizia e legalità.
La storia di Ritaci spinge, inoltre, a interrogarci sul ruolo delle donne
nell’universo mafioso e di come per le donne il percorso di emancipazione dalla
società mafiosa sia certamente più difficile rispetto a quello degli uomini.
La giovane e coraggiosa testimone di giustizia, la più giovane testimone di
giustizia dell’Italia, è stata un esempio di coraggio civile ed è fondamentale
mantenere vivo il suo ricordo e proteggere, attraverso di lei, la nostra
memoria storica, perché la storia di Rita Atria non si può scindere dalla
storia recente che ha visto il nostro Paese lottare con tutte le sue forze per
debellare il sistema mafioso.
Ci sentiamo inoltre in dovere di segnalare un'altra storia terribile di
mafia e di infanzia negata, una storia poco conosciuta che riguarda un bambino
di 4 anni appena, Andrea Savoca.
Nello stesso giorno, il 26 luglio, di un anno prima il piccolo Andrea
rimane ucciso insieme al padre, rapinatore di tir, per ordine del capomafia
locale “per colpa di uno sgarro fatto a qualcuno che non doveva essere
toccato”. Lo sgarro probabilmente consisteva in alcune rapine di tir che
contenevano merci appartenenti a mafiosi.
Andrea, però, come tutte le vittime innocenti di mafia colpe non ne aveva.
Come non ne aveva suo fratello Massimiliano, rimasto per fortuna illeso.
Il 26 luglio quindi del 1991 e del 1992 un bambino e un’adolescente
smettono di vivere perché la loro storia familiare fu segnata dall'incontro
fatale e letale con la mafia.
Invitiamo i colleghi docenti a far conoscere agli studenti il grande
contributo che le donne di mafia hanno dato per il riscatto personale e anche
dell'intero Paese. E a far conoscere Rita Atria. E invitiamo a ricordare la
tragica fine di un bambino innocente senza colpe.
L’hashtag per ricordare sui canali social Rita Atria è #ILCORAGGIODIRITA
e per ricordare Andrea Savoca è #UNPENSIEROPERANDREA
Non permettiamo che il suo sacrificio degli innocenti scivoli
nell’oblio.
Ricordiamo, soprattutto ai giovani, la storia di Rita, il suo coraggio
civile e i suoi 17 anni consegnati a noi tutti per il bene della Giustizia e
del Paese.
E Ricordiamo attraverso la storia infelice del piccolo Andrea che troppe
volte la mafia ha strappato alla vita bianchissimi gigli dal cuore purissimo.
Prof.ssa Rosa Manco
CNDDU