Conservatorismo democratico e riformismo liberale

Due incompiute



La destra al potere, riflessioni a partire da un libro di Carlo Galli

La destra al potere (titolo) comporta Rischi per la democrazia? (sottotitolo). Se lo chiede lo storico del pensiero politico Carlo Galli in un suo recente volume che, appena uscito nelle librerie, ha immediatamente innescato un dibattito non tanto a destra (oggetto del saggio) quanto a sinistra, perché la tesi fondamentale del libro è che la destra (questadestra) giunta al governo vada “presa sul serio” e che comunque “non è l’invasione degli Hyksos, l’irruzione di barbare tribù straniere nei verdi pascoli della democrazia italiana”, a differenza di quanto pensino, o temano, molti intellettuali di sinistra (di questa sinistra) (C.G., La destra al potereRischi per la democrazia?, Raffaello Cortina Editore, 2024, p. 8).

L’esito delle ultime elezioni (le europee e le amministrative svoltesi nello scorso week-end) mostrano una tendenziale bipolarizzazione del consenso, con una destra guidata da Fratelli d’Italia (la vera novità delle elezioni politiche del 2022) abbastanza stabile e una sinistra plurale nella quale il PD non occupa, al momento, la stessa posizione baricentrica che ha nella destra FdI, il partito della premier Giorgia Meloni.

Galli nel libro prova ad analizzare le ragioni del successo della destra, trovandole non nel riaffiorare di nostalgie vetero, neo o post fasciste, ma nello spostamento della coalizione, per iniziativa soprattutto di Meloni (supportata in questo dalla FI di Tajani), su posizioni neocentriste liberal-conservatrici, atlantiche e blandamente europeiste in politica estera, in cerca di un rapporto, o almeno di un dialogo, con il Partito popolare di Ursula von der Leyen.

In politica interna, secondo Galli, la coalizione di destra, malgrado gli strappi nazional-sovranisti di Salvini e l’evidente impreparazione di alcuni ministri, regge perché riesce in qualche modo a “rispecchiare abbastanza fedelmente l’Italia com’è: un’Italia che non disdegna di delegare la politica a un vertice istituzionale forte (….) per continuare i propri traffici privati, piccoli e grandi” (vedi balneari,tassisti, piccoli e meno piccoli evasori fiscali, agricoltori) “mentre dall’altra parte non molti (per ora) sanno sottrarsi a un semplice riflesso momentaneo di reazione per contrapporre efficacemente e credibilmente un’idea di come l’Italia dovrebbe essere” (p. 24). Insomma, un programma alternativo plausibile, da contrapporre a quello che la destra, quella di Meloni Crosetto e Valditara, propone e gestisce in chiave conservatrice. Nel segno del conservatorismo democratico si muovono per esempio la politica estera e quella scolastica di questo governo. A questa proposta la sinistra, nota Galli, dovrebbe saper contrapporre un riformismo democratico compiuto, fatto di proposte concrete e non di proteste e sole mobilitazioni antifasciste: “basta volerlo, ed esserne capaci”, è la conclusione del politologo (p. 123).

 

La scuola banco di prova del conservatorismo riformatore

Se la chiave interpretativa dell’attuale fase della politica italiana fornita da Galli fosse confermata da ulteriori fatti (ma molto dipenderà dall’evoluzione della situazione economica e del quadro internazionale su diversi fronti: i nuovi assetti nell’UE, le guerre in corso in Ucraina e nel Medio Oriente, le elezioni in Francia e negli USA), l’esito naturale del processo in corso sarebbe quello della formazione di due grandi blocchi politici, entrambi democratici – quello conservatore, e quello riformista – che si legittimano reciprocamente e competono anche aspramente ma sempre rispettando il diritto dell’avversario a governare. 

Nel campo scolastica della politica un contributo in questa direzione lo ha certamente dato il ministro Giuseppe Valditara con le sue ripetute prese di posizione in materia di superamento del modello gentiliano di scuola (in passato difeso dalla destra al tempo del MSI e anche di AN, almeno per quanto riguarda il liceo classico e la sua quinquennalità), di appartenenza irreversibile dell’Italia all’area delle democrazie liberali e di rispetto della Costituzione repubblicana, “fondata sull’antifascismo”, come ha avuto occasione di dire più di una volta.

Al di là delle dichiarazioni di principio, comunque importanti per la collocazione strategica dell’Italia in un mondo che vede aumentare il confronto e i rischi di conflitto tra blocchi di Stati (Europa, Nordamerica e democrazie liberali da una parte; Cina, Russia, Iran e altre autocrazie dall’altra; Paesi emergenti ex coloniali in forte sviluppo come l’India, il Brasile, il Sud Africa e altri), ci sono alcune concrete scelte di politica scolastica che aiutano a cogliere alcuni tratti identitari del conservatorismo come si va definendo in Italia. Uno tra i più visibili, balzato recentemente alla ribalta del dibattito politico e culturale con la nomina della commissione Perla per la revisione delle Indicazioni Nazionali, è quello che riguarda il rafforzamento del ruolo di alcune discipline (Storia in particolare, ma anche Italiano e Geografia) nella costruzione tra i giovani di una maggiore sensibilità, e rispetto, per il patrimonio storico-culturale nazionale italiano (un tema sul quale torna da anni Ernesto Galli della Loggia). I critici parlano di provincialismo e neo-neonazionalismo, i sostenitori di un più efficace radicamento dell’identità italiana tra i giovani in formazione.

Un ragionamento, quest’ultimo, che Valditara estende anche agli studenti stranieri, soprattutto a quelli di più recente immigrazione, “che non sanno una parola di Italiano”, a sostegno della sua proposta di predisporre corsi e percorsi ad hoc per questi alunni. Si tratta di integrazione, come dice il ministro, o di discriminazione, come asseriscono i suoi critici?

 

La scommessa della personalizzazione

Un terzo, e ultimo (non per importanza), esempio di caratterizzazione in senso conservatore della politica scolastica dell’attuale governo, sempre su impulso di Valditara (ma con un impegnato apporto di FI, in particolare di Valentina Aprea), è il ddl di riforma dell’istruzione tecnica e professionale, teso a rilanciare e valorizzare questo settore dell’istruzione secondaria superiore come valida alternativa ai percorsi liceali anche attraverso la riduzione di un anno della durata degli studi (due bienni di due anni) e il loro completamento con un biennio di ITS “Academy” (Istruzione Tecnica Superiore a forte vocazione professionalizzante): il cosiddetto modello “4+2”.

Di questo modello si è parlato anche per l’ingente investimento in esso di risorse del PNRR, finalizzato al superamento del mismatch tra la domanda di competenze tecniche proveniente dalle imprese e l’attuale insufficiente output del sistema scolastico (e universitario), ma in questa sede di riflessione sui possibili tratti caratteristici del conservatorismo democratico l’accento andrebbe posto piuttosto sulle ragioni di fondo che vengono messe alla base della proposta. Queste ragioni si basano su un presupposto, che è quello della diversità naturale, ineliminabile, delle attitudini e dei potenziali di apprendimento dei singoli alunni.

Per questo, è il ragionamento di Valditara – già presente nel suo primo libro-programma “E’ l’Italia che vogliamo” (settembre 2022) ma compiutamente sviluppato nel suo ultimo volume, “La scuola dei talenti” (Piemme, 2024) – gli itinerari formativi devono essere diversificati e personalizzati, in modo che a ciascuno sia data la possibilità di coltivare il proprio talento, che può esplicarsi nei campi e nei modi più diversi, come sostenuto da Howard Gardner (citato), teorico delle intelligenze multiple.

Per questo i percorsi tecnici e professionali, compresi quelli a carattere eminentemente pratico, vanno posti sullo stesso piano di quelli liceali, e il “merito” (quel termine che Valditara ha voluto aggiungere alla denominazione tradizionale del Ministero dell’istruzione) consiste nel conseguire al più elevato livello possibile il proprio personale traguardo formativo, qualunque sia il percorso formativo scelto.

Un modello, quello delineato dal ministro, che si pone in radicale antitesi con quello gentiliano – condiviso però, secondo Valditara, anche da Gramsci, Concetto Marchesi e Palmiro Togliatti e in generale dalla sinistra – che ha privilegiato la cultura classica “disinteressata” e svilito quella professionale, subordinata agli interessi del mondo delle imprese.    

Al modello gramscio-gentiliano di una scuola ad alto tenore formativo, “disinteressata” ed esigente, uguale per tutti (che la sinistra ha però abbandonato per inseguire il nuovo mito dell’inclusività, non selettiva e poco formativa) Valditara sembra voler contrapporre l’idea opposta di una scuola diversa per tutti, che valorizzi i “talenti” individuali, quali che essi siano, la scuola della “personalizzazione”.

A questo disegno la sinistra potrebbe rispondere rilanciando un’altra parola d’ordine, quella dell’equità, della giustizia in educazione, oggetto della recente terza Conferenza internazionale della rivista “Scuola democratica” e anche del Premio a questa tematica collegato. È auspicabile che il confronto tra i due modelli, quello conservatore della personalizzazione e quello riformista di una scuola delle opportunità, ma con una base unitaria per tutti (un core curriculum universale), possa svolgersi in un clima costruttivo.

 

Alla destra democratica serve un ultimo passo

A conclusione di questa breve rassegna sui tratti identitari di una destra italiana che aspira a presentarsi in Italia e in Europa come una forza conservatrice ma anche riformista, appartenente all’area delle democrazie liberali, come sembrano indicare alcune sue scelte in politica estera e soprattutto scolastica, è utile tornare all’analisi sviluppata da Carlo Galli nel volume citato in apertura delle nostre osservazioni: la destra, grazie all’attivismo e anche alla spregiudicatezza di Giorgia Meloni, che non ha temuto di contraddire alcune posizioni tenute in passato da FdI, sta costruendo un polo conservatore articolato (con la fastidiosa concorrenza all’estrema destradella Lega di Salvini e Vannacci…) ma ancora sufficientemente stabile per poter governare l’Italia nel rispetto delle regole dell’alternanza democratica.

Non altrettanto sta facendo la sinistra, osserva Galli, che è articolata come la destra, ma non è riuscita finora a costruire uno schieramento sufficientemente compatto, con un programma condiviso di segno riformista. Un processo reso difficile da alcune divergenze e ambiguità in politica estera (vedi il M5S di Conte) e dalla rigidità massimalista di Alleanza Verdi e Sinistra nelle politiche sociali ed energetiche. È tuttavia probabile che se saranno mantenute le attuali regole elettorali che favoriscono le coalizioni si andrà verso la riaggregazione del polo alternativo a quello della destra, anche se i precedenti dei due governi di Romano Prodi (1996 e 2006) – che però non ha cambiato la sua proposta unitaria e anzi la rilancia – non inducono all’ottimismo.

C’è però ancora un ultimo passaggio sulla strada della piena legittimazione (nazionale e internazionale) della destra italiana a governare in una logica di alternanza democratica, ed è il definitivo e totale rifiuto del fascismo in tutte le sue forme, passate, presenti e future. Questo passo, ci sembra, Valditara lo ha fatto, Meloni ancora non del tutto. Chissà che i clamorosi rigurgiti neofascisti e addirittura neonazisti messi in luce dall’inchiesta di Fanpage (che Meloni dovrebbe ringraziare, anziché biasimare) sui giovani di FdI non la inducano finalmente a compierlo. Basterebbe che seguisse l’icastico consiglio dell’ex leader di AN Gianfranco Fini: “Fuori gli idioti”. In fondo, vale per lei lo stesso invito che Galli rivolge alla sinistra affinché si unisca attorno a un programma riformista, a conclusione del suo libro: “Basta volerlo, ed esserne capaci”…

Certo, se i due processi in corso a destra e a sinistra giungessero a piena maturazione, la lunga transizione italiana verso la normalità democratica avrebbe uno sbocco finalmente positivo per tutti.

( A cura di Orazio Niceforo)

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