CRONISTA A ROMA

Dal nostro inviato

Il cimitero del Verano è il più grande e più celebre di Roma. Si trova sulla Tiburtina, non troppo lontano dalla stazione Termini. La prima caratteristica che sale all'occhio è il colore delle sue mura: ocra, di un caldo marrone che richiama alla memoria pagine semi bruciate di storia patria.

Si incontra appena entrati e scesi nel vialetto sottostante, dove a sinistra si può notare il bianco sepolcro di Goffredo Mameli, poeta e patriota che partecipò alle Cinque giornate di milano e poi alla difesa della seconda repubblica romana, dove nel 1849, a soli 21 anni, morì. Mameli è autore anche dell'inno nazionale italiano, musicato da Giuseppe Verdi. 

Procedendo sulla destra e risalendo sul vialetto alberato ci si inoltra nel cimitero, la cui seconda caratteristica è quella di possedere un'abbondante vegetazione mediterranea. La presenza massiccia delle piante sembra infondere vita in quel luogo dove la vita non c'è più, e il respiro maestoso di esse pare un richiamo lanciato dai morti ai vivi, in maniera non tragica bensì rassegnata. È, questo, un cimitero che ospita molti esponenti del mondo dello spettacolo.

Sul vialetto 145 si trova la tomba di famiglia di Alberto Sordi, che riporta solo il cognome. Dalla porta vetrata si intravedono la foto del grande e simpatico attore nonché quelle del suo parentado: i genitori, il fratello, le due sorelle. Tutto il contrario di quella di Eduardo De Filippo, alla quale si accede da un ingresso cimiteriale posto sulla via Tiburtina, una tomba grande, scura e pressoché sigillata, che ospita lui, la figlioletta Luisa morta a soli dieci anni, la terza moglie Isabella. La tomba somiglia un po' a come era lui: grande, ombroso, sigillato nei sentimenti. Perché sembra fosse piuttosto cattivo, Eduardo, privo di simpatia e di empatia, spesso chiuso agli altri compresi i fratelli Titina e Peppino. Peppino, il quale si trova non lontano, sulla destra, accanto alla tomba di una icona della destra: Claretta Petacci, la giovane amante di un già stagionato Mussolini. Fa un po' ridere il pensare che quando Peppino abbandonò la compagnia teatrale diretta dal fratello fu proprio al grido di: "Duce!, Duce!" che si accomiatò per formarne una propria. All'esterno della tomba Peppino De Filippo ha fatto incidere una sua poesia che dedicò all'amata moglie Lidia Martora, morta nel 1971. All'interno, oltre a loro, si trova anche il sarcofago che accoglie le spoglie del figlio Luigi, venuto a mancare due anni fa, mentre il padre - morto nel 1980 - si prodigò a marcare la sua esistenza di attore a teatro, al cinema, in televisione con una vis comica imperante fino alla metà degli anni Settanta, quando poi una strana malattia debilitante lo indebolì fino a limitarlo nel proprio lavoro, ma non impedendogli di continuare a recitare in teatro e in Tv, nonché al cinema nel 1979, anno in cui Sergio Corbucci lo pregò di tornare dopo che lui si era ritirato nel 1970 dopo avere interpretato con Monica Vitti il film "Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa". Il film era "Giallo napoletano", a fianco di Marcello Mastroianni. 

Camminare per quel cimitero ma non solo per quello vuol dire andare idealmente a trovare chi non è più, fermarsi davanti a una lapide perché colpiti da un nome, una dedica, una foto. E viene in mente la scena del film "Bianco, rosso e verdone", nella quale Lella Fabrizi e Carlo Verdone si trovano in un cimitero alla ricerca di una lapide, e ogni tanto lei chiama lui affinché dia una occhiata alla foto di una giovane e bella ragazza. Il tutto sottolineato ed evidenziato dalle agrodolci musiche di Ennio Morricone, che ben hanno saputo donare una nota di poesia alla scena, ottimamente interpretata dai due protagonisti. Morricone che ora riposa in altro cimitero romano, il Laurentino. Un riposo più che meritato vista la mole di lavoro che in settant'anni ha saputo svolgere che molti hanno saputo apprezzare.

 

Antonio Mecca

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