Edith Bruck: "La mia università è stata Auschwitz"

La Casa Editrice "La nave di Teseo" ha pubblicato "Andremo in città", una raccolta di 11 racconti scritti da Edith Bruck, scrittrice di origine ungherese che vive dal 1954, a Roma. Sono 11, i racconti, 11 come il numero di calciatori di una squadra che si batte sul campo da gioco per portare alla vittoria la propria squadra contro quella nazi-fascista che stava per segnare la vittoria finale sul mondo libero. Edith è nata il tre maggio 1931 in una cittadina ungherese chiamata Tiszabercel per poi con la sua famiglia di otto persone: due genitori, cinque fratelli e lei l'ultima, trasferirsi a Tiszakaràd. In questa città vivrà un'infanzia vessata dalle ristrettezze economiche e da quelle mentali di gente che ce l'aveva con gli ebrei, convinta che essi rappresentassero il male assoluto. Queste umiliazioni sono descritte in maniera toccante nella maggior parte dei racconti presenti, dove in più di uno c'è la piccola Edith protagonista insieme alla sua povera famiglia delle vessazioni che gli ebrei come loro erano costretti a subire. Quando molti anni dopo la Bruck ricevette la laurea honoris causa da una università italiana, ebbe a dire: "La mia università è stata Auschwitz".

All'età di 13 anni, nel 1944, la ragazzina verrà prelevata dai nazisti e smistata in ben sette campi di concentramento, tra cui Dachau, Auschwitz, Bergen-Belsen. Ed è in quest'ultimo che verrà liberata dagli americani, per poi nel 1946 recarsi in Cecoslovacchia da una delle sorelle maggiori. Nel settembre 1948 si reca nel neonato Stato di Israele, dove si sposerà per evitare il servizio obbligatorio e assumerà il cognome del marito: Bruck. Il suo invece è Steinschreiber. Poi, nel 1954 approda in Italia, a Roma dove tuttora risiede. Conoscerà il poeta e regista Nelo Risi, più anziano di lei di 11 anni, con il quale vivrà fino alla sua morte. È del 1959, all'età di 28 anni, la sua prima opera di narrativa delle venti da lei pubblicate: "Chi ti ama così", scritta - come tutto il resto - nella lingua adottata: l'italiano. A questi vanno aggiunti anche otto libri di poesia, tre commedie, quattro sceneggiature e tre film come regista. Partecipò pure al film del 1958 "I soliti ignoti", nel ruolo di una popolana romana. Edith è stata una donna bellissima, sul cui volto dai lineamenti perfetti non sembrava trasparire il male vissuto, l'orrore a cui ha dovuto assistere e soffrire per anni. Questo orrore se non traspare in lei traspira invece nella sua prosa, in apparenza semplice e priva di odio ma che sa descrivere ciò che è successo a lei e a milioni di altre creature come lei per colpa principalmente di uno squilibrato coi baffi a francobollo che avrebbero dovuto servirgli per venire spedito all'inferno senza scalo. La colpa che innescò questo orrore fu anche del trattato di Versailles, stilato all'indomani della fine della prima guerra mondiale il quale fu troppo duro nel voler far pagare i danni di guerra al popolo tedesco, finendo per condurlo alla rovina economica e morale. Seppe poi risollevarsi a guerra terminata, perché il popolo tedesco è un gran popolo, lavoratore e patriottico, e seppe anche riunirsi: Germania dell'Ovest e Germania dell'Est, tornando ad essere una sola nazione, perché anche se un bravo umorista ebbe a dire: meglio una Germania divisa che una uniforme, non era giusto restasse per sempre separata, come nel bellissimo discorso pronunciato da John Kennedy nel giugno del 1963 a Berlino, all'indomani della costruzione del muro, autentica vergogna voluta dai non evoluti sovietici. Edith Bruck ha saputo descrivere con la sua prosa limpida come un'acqua la cui sorgente non è stata mai intorbidata da nessun corpo estraneo, tipo ampolla da riempire per cerimonie all'acqua di rose: il fiore la cui essenza è atta a celare il lezzo delle carogne che la maneggiano. Purtroppo se molti - troppi - ancora non credono che i nazifascisti abbiano prodotto tanto orrore e sono convinti che le riprese dei sopravvissuti ai campi di sterminio siano una falsificazione fabbricata dai cinematografari hollywoodiani, figuriamoci per quello che sta succedendo qui da noi da non molti anni a questa parte. Edith Bruck ha saputo esprimere con la sua calda bellezza di donna e di scrittrice la disgrazia che in un mondo razzista molti hanno avuto.

"Nascere per caso/nascere donna/ nascere povera/ nascere ebrea/ è troppo/ in una sola vita".

La sua voce non è stata e non è una voce isolata, ma seppure tessuta con altre consimili non sempre è riuscita a tessere una rete che protegga dalle cadute di stile di funamboli che usano aggrapparsi ai trapezi invece che ai quadrati di gente quadrata per eseguire volute nell'aria che appunto nell'aria rimarranno. Perché voler andare contro la realtà delle cose non può non andare a discapito di chi stupidamente va in senso opposto al buonsenso.
Antonio Mecca

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