GIALLO A VERBANIA 18


La traversata durò circa dieci minuti. Il motoscafo si fermò e spense i motori.I due uomini si avvicinarono e mi afferrarono alle braccia. Mi trasportarono all’esterno, applicato alla catena un peso lo appoggiarono sopra il parapetto. Ci trovavamo in mezzo al lago. Con quel peso che mi avevano attaccato alla gamba vi sarei finito nel fondo come la signora nel lago dell’omonimo romanzo di Chandler. Ogni tanto sulla superficie lacustre illuminata dalla luna, guizzava qualche pesce.

- Stanno per arrivare i rifornimenti – disse il figlio dell’ex albergatrice. Prese ad imprimere un dondolio alle mie gambe coadiuvato dal complice che agiva sulle mie spalle muovendole a ritmo congiunto. Dopodiché mi fece sorvolare il parapetto facendo seguire a ruota il peso che mi avevano piazzato alle gambe. Il freddo dell'acqua sul momento ebbe su di me un effetto paralizzante. Dopodiché sembrò svegliarmi completamente. Avvertivo l'acqua entrarmi in bocca e da lì in gola, nel naso, nelle orecchie. Un attimo prima di cadere in acqua avevo cercato di immagazzinare più aria possibile, e ora quella scorta temporanea mi serviva a restare in vita ancora per qualche prezioso istante. Non persi tempo. Mi chinai fino a raggiungere le scarpe, afferrai il tacco di quella a destra e tirai con forza. La lama del coltello si trovava infilata. La presi e la direzionai all'interno della serratura del lucchetto, cercando di lavorarla con calma, senza cedere al panico. Dovevo comunque fare presto, perché la mia autonomia di ossigeno andava rapidamente esaurendosi. La lama andò più in profondità, e il lucchetto cedette. Il peso proseguì la sua corsa verso il fondo, ma senza di me, per cui agitando le braccia ancora immobilizzate dalla corda riuscii a risalire alla superficie. Mi sembrava che la testa sarebbe esplosa da un istante all'altro, Negli occhi avevo la visione di luci multicolori come quando anni prima avevo subito un'anestesia totale. Poi una luce diversa, perché di riflesso autentico si trattava, mi colpì gradevolmente, si trattava della luce lunare. Pur essendo il pallore luminoso di un pianeta morto, mi apparve come il sorriso caldo di una creatura viva. Finalmente l’ossigeno tornò nei miei polmoni, quasi con furia selvaggia. Snodai il fazzoletto che ancora mi tappava la bocca e presi a respirare. Poi mi riuscì di mettere a fuoco ciò che vedevo. Il motoscafo lontano all'orizzonte, in direzione di Pallanza. Reggevo ancora in pugno il coltello che era servito a liberarmi dal peso. Me ne servii per tagliare il cordame che mi impastoiava i polsi. Quindi, dopo averlo rimesso all'interno della suola, presi a dirigermi con larghe bracciate verso la riva. Un po’ nuotando sulla pancia, un po’ sul dorso, un po’ in maniera tradizionale, un po’ a rana, mi riuscì sempre più di avvicinarmi alla riva di Ghiffa. Ci misi circa un paio d'ore. Arrivando a riva quando ancora il cielo era scuro, il silenzio avvolgeva l’ambiente circostante. Uscii dall'acqua, ero bagnato fradicio. Risalito fino al giardinetto soprastante notai un orologio elettrico che segnata le cinque e dieci. Muovendo le gambe che mi parevano pesanti come se fossero state inzuppate di cemento fresco, mi trascinai fino al vicino palazzo comunale e all’adiacente hotel. Una luce discreta, color arancio, illuminava con discrezione l'atrio dell'albergo. Arrivato al portone suonai il campanello. Di lì a poco una figura d’uomo apparve dietro i doppi vetri di cristallo molato della porta, fissandomi con sospetto. Aprì solo in parte, pronto a chiudere al minimo segnale di pericolo. 

- Per favore, chiami la polizia – gli dissi, accorgendomi che le parole mi uscivano tremanti per il freddo. – Hanno cercato di annegarmi.

- D’accordo - disse lui sollecito. - Venga, entri.

Entrai, mentre l'uomo si dirigeva al banco della ricezione e afferrava la cornetta del telefono, senza togliermi gli occhi di dosso. Che siccome avevano uno sguardo freddo, non potevano certo avere l'effetto – o l’affetto – di riscaldarmi.

- E’ l’hotel Ghiffa – si presentò l'uomo al suo interlocutore. – Una persona è qui davanti a me 

  completamente bagnata perché afferma di avere subito un tentativo di annegamento. Potete

  venire al più presto?

Ascoltò la risposta, e poi disse: - Grazie. Vi aspettiamo – quindi riagganciò. Si rivolse a me.

- Si sieda. Cosa fa ancora in piedi?

 - Impedisco di infradiciarle la poltrona.

- Le poltrone si asciugano. Le esistenze invece si prosciugano se non curate come si deve.

Un albergatore filosofo. Sedetti, stremato. 


Antonio Mecca


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