I DUBBI DI DEBBIE 1
- 14 ottobre 2020 Cultura
“Vorrei essere ancora come ero dieci anni fa”.
Questa frase di Barbara, la ragazza addetta al promter, vale a dire il monitor piazzato sotto l'obbiettivo della telecamera riportante il testo da leggere nelle telepromozioni, l’aveva ascoltata e rievocata molte volte, chiedendosi dapprima perché Barbara l'avesse detta, e poi - ricordandosi di come la ragazza era stata anni prima - comprendendone il significato. Perché in effetti la giovane che Debbie ora rivedeva con la memoria era stata una ragazza più sensuale per via della sua capigliatura folta e lucente, del volto più ovale come certi medaglioni che si appendono al collo e che a contatto con la carne viva sembrano pulsare di vita propria, per la carnagione più luminosa e il sorriso che spesso affiorava smagliante. Ora lo smagliante aveva finito per produrre una smagliatura nella calza appesa per la Befana, che fra i doni a suo tempo a lei riservati c’era stato anche quello della bellezza solare, la quale l’aveva accompagnata per anni. Adesso però quel viso bello e piacente si era un po’ come spento, impallidito, e una patina di mestizia ne aveva preso il posto.
Debbie, la sua collega, era una ragazza che svolgeva la professione di attrice fin dall'adolescenza, quando aveva esordito nel doppiaggio dei cartoni animati prima e dei telefilm poi, per quindi apparire in una trasmissione destinata ai bambini e, infine, in numerose telepromozioni. Debbie sembrava ancora, nonostante gli anni trascorsi, essersi fermata all'età dell'adolescenza, aiutata dal suo fisico longilineo, dal viso di bambina cresciuta ma non troppo e soprattutto dalla voce, questa sì adolescenziale, fresca, simpatica. Gli anni erano però ugualmente trascorsi, facendo tabula rasa dei sogni e delle speranze che una ragazzina sempre possiede. Era così diventata donna e moglie, ma il lavoro che mai aveva abbandonato l’aveva come preservata dall’invecchiamento, o maturità come ipocritamente si usa definire. Non che fosse una ingenua, Debbie sapeva anzi essere anche maliziosa, quanto e quando occorreva per rivendicare la propria femminilità, il suo essere donna al di là della finzione scenica. Malgrado ciò il tempo era passato ugualmente, e lo specchio le restituiva sempre, seppure non la stessa immagine, quella perlomeno di una ragazza ancora giovane nell’aspetto e nell’aspettativa del proprio lavoro. Però quella frase di Barbara, accompagnata da una mestizia che pur accettando l’inevitabile non poteva non dolersene, le ronzava continuamente in testa. Era stato da allora che aveva cominciato a soffermarsi più a lungo davanti allo specchio, a scandagliare la propria immagine riflessa con più apprensione, alla ricerca non del tempo perduto ma della giovinezza svanita, e dei segni che questa aveva lasciato al suo posto: piccole ma significative rughe, eventuali occhiaie, capelli che avevano perduto il loro intenso colore originario. E sebbene non vi avesse trovato granché di preoccupante, Debbie sentiva di non essere più quella di prima. Era bastata una frase colta al volo, quasi a sua insaputa, per farle saltare il lungo discorso che aveva declamato per anni. Il timore di venire abbandonata da quella bolla nella quale si trovava da anni, e dove per molti anni ancora avrebbe voluto trovarsi, la riempiva di paure che non voleva ammettere di avere.
Antonio Mecca