I DUBBI DI DEBBIE 4

Entrarono nel ristorante e si sedettero a un tavolo libero. 

La sala era piena per tre quarti, vista l’ora: l’una e spiccioli.

- Preferisci una pizza o un piatto di pasta? - chiese l’italiana. Al che l’americana esclamò:

- Pasta, sì! Spaghetti, of course!

Qualcuno le riconobbe, e sorrise loro. Le due girls risposero con reciproci sorrisi, riportando poi l'attenzione su di loro. Gli spaghetti: alle vongole, arrivarono, e Jane li divorò con sano appetito giovanile e fiducioso ottimismo americano, accompagnandoli con un bicchiere di vino bianco e una bottiglia di acqua minerale rigorosamente naturale. Il secondo piatto scelto fu sogliola alla mugnaia con contorno di insalata verde, per poi concludere con dolce e caffè.

- Wow! - ripeté l’americana. - In Italia sì che si cucina divinamente!

- Abbiamo in effetti degli chef che sono dei veri e propri dei in terra - ammise l’italiana. - O così si credono.

Appena uscite si diressero nella vicina piazza Duomo, e fecero poi la fila per entrare in quell’enorme tempio della cristianità.

- Bellissimo - ammise Jane. - Mi ricorda la cattedrale di Saint Patrick a New York.

- Sì, è vero - ammise Debbie. - Ho avuto modo di visitarla e a me ha ricordato il nostro Duomo!

Quando passarono vicino alla Scala e approdate nei giardini del Castello Sforzesco, dopo un'altra sfilza di “Wow!”, Jane assunse sul suo bel viso un'espressione seria.

- Debbie… - mormorò con un tono di voce che si accordava con lo sguardo mesto dei suoi occhi.

- La mia carriera di attrice è alla fine.

Debbie credette di avere capito male.

- Hai capito, invece. Sto perdendo la voce, Debbie. In parte l’ho già perduta. A causa di un'afonia alla 

   laringe.  

Debbie non replicò nulla; per lei risposero gli occhi, che si velarono di lacrime.

- Jane, ma come…

- È così, purtroppo. Perderò la voce; non completamente, forse, ma non sarà più come prima, perché già adesso non è più la stessa. Ti sarai accorta di questa mia: per il momento, raucedine. Negli ultimi episodi che tu ancora non hai doppiato abbiamo simulato che mi fosse venuta la voce rauca per un raffreddore; ma potrà essere - seppure nella finzione - sempre così? Inoltre, la faccenda si aggraverà, e non potrò più parlare correttamente. 

Furono i suoi occhi a parlare, con l'intensità dolorosa che la contraddistingueva.

- Ma… non c’è proprio nulla da fare? Un'operazione, qualcosa del genere…

- Vuoi che non mi sia informata presso più di uno specialista, in America e in Europa? Il denaro non mi manca, per cui avrei potuto permettermi il fior fiore dei chirurghi. No, my darling: non si può fare nulla. A meno che…

La fissò, con speranza. L'amica italiana aspettò, con apprensione.

- A meno che tu non diventi la mia voce anche in telefilm prodotti in Italia, dove io continuerò a recitare ma non a parlare, se non con la mia voce futura che non potrà non essere bassa e sempre più rauca. Le afferrò le mani.

- Cosa mi dici, Debbie? Vuoi essere la mia italian voice futura visto che già lo sei per quanto riguarda quella

  presente?

- Io… io ne sarei lusingata, Jane. Ma non so se ci sarà la possibilità di realizzare dei telefilm. Credo di sì, e in

  questo caso sarei felice di potere lavorare con te. Perché io, quando ti doppio, mi immedesimo così tanto

  in te, Jane, da essere quasi un'altra te stessa.

- Lo so. E io quando ti ascolto nella versione italiana, penso che la tua splendida voce mi rappresenti al

  meglio per come sono.

Ci fu poi una lunga pausa, un silenzio interrotto dallo svolazzare dei piccioni e dal vocio dei turisti che attraversavano il cortile del castello.



Antonio Mecca

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