I DUBBI DI DEBBIE 9

Santa Monica era graziosa, circondata com’era dal verde, con numerose palme e la presenza dell’oceano che la lambiva dolcemente, come la lingua di un gatto la mano del padrone. Molte ville anche, e fra queste quella di Jane che infilò rapida un vialetto e si diresse ad un garage lì accanto. Scese, poi aprì con la chiave la porta basculante per quindi fare ritorno. All’interno si trovava già un’altra auto, una macchina sportiva color ciliegia.

- Domani riporteremo l’auto all’aeroporto – disse la ragazza. – Tu mi seguirai con questa e io ti precederò

  con la mia.

- Va bene – acconsentì Debbie.

Pensò all’auto acquistata dall’amica, con la quale avevano raggiunto Malpensa, lasciandola nel parcheggio  annesso. Al ritorno, come d’accordo, Debora l’avrebbe utilizzata per tornare a casa.

Dall’interno del box, dopo avere richiuso la serranda, l’americana proseguì lungo una scalinata in cemento fino a una cucina linda e pinta, come diceva la mamma di Debbie, lì entrata aprì le tapparelle con un telecomando e aprì anche la finestra per lasciare entrare un po’ d’aria esterna. Poi passò alla stanza adiacente, la quale era un soggiorno ampio e luminoso, bene arredato e ordinato, dove un enorme televisore campeggiava all’estremità di una parete, in compagnia di due divani e sei poltrone tappezzate di stoffa verde chiaro, e un tavolo di legno anch’esso chiaro con intorno delle sedie dello stesso materiale e colore. Un mobile-bar lasciava intravedere dietro le vetrine di cristallo molato diverse bottiglie di liquori diversi, e una libreria con volumi dalle copertine provviste di colori vivaci. Da lì le due ragazze passarono nel resto della casa, composto di tre camere da letto e tre bagni.


- Ecco – esclamò Jane nell’affacciarsi sulla soglia di una camera da letto: - questa sarà la tua stanza. 

  La biancheria è già stata cambiata dalla signora delle pulizie.

Debora si affacciò a propria volta sulla soglia e così poté vedere la camera con i suoi occhi. Era ampia, dall’aspetto comodo, con mobili in legno chiaro e un grande, vivace tappeto che una volta arrotolato avrebbe potuto avvolgere la stanza intera.

- Che ne dici? Ti piace?

- Molto – rispose Debora. – Hai davvero una bella casa, Jane.

- Ho guadagnato molto e me la sono potuta permettere.

- Da noi in Italia non guadagnerai altrettanto, però.

- Sì, ma non fa nulla. Quello che mi interessava era di poter continuare a lavorare. Io amo fare l’attrice, e

   Il dovere smettere rappresenterebbe per me un duro colpo. Ma ora che posso contare sulla tua 

   collaborazione, cara Debbie, mi sento più fiduciosa verso il futuro.

Le due giovani parlarono fittamente per un bel po’, come solo le donne sanno fare, quindi Debora che era molto stanca chiese di potersi ritirare nella sua stanza per sistemare i bagagli nell’armadio e se stessa nel letto. Al che Jane acconsentì.



Furono giorni esaltanti per entrambe. La padrona di casa era sempre gioiosamente effervescente, e la sua ospite sempre vogliosa di vedere, ascoltare, stupirsi. Ogni giorno Debora telefonava al marito, che certo le mancava, ma poi si rituffava nella temporanea vita americana, che proprio perché temporanea la viveva al pieno delle sue possibilità. Jane la portò a visitare gli studios dove aveva lavorato, presentandola ai suoi colleghi come un’attrice italiana che – anche doppiatrice – era stata ed era la sua italian voice. 

C’era una nota di malinconia nel rivedere i suoi colleghi della Tv, ma l’arte della finzione riusciva: perlomeno in pubblico, a bypassarla. Quello che più interessava Debora erano le località chiave di Los Angeles: Hollywood, Santa Monica, Venice, San Diego, Palm Springs, ultima location del poco più che abbozzato romanzo di Chandler con Philip Marlowe. 

I giorni trascorsero veloci, come quasi sempre avviene. E quello della partenza si avvicinò sempre più. Quando poi arrivò, e con esso il momento del distacco, Debora sentì che così facendo le sarebbe venuta a mancare come una parte di se stessa. E glielo disse. E fu allora che Jane la baciò. Un bacio talmente improvviso e inaspettato, che Debora non poté evitarlo. Ma avrebbe poi voluto evitarlo? Si lasciò baciare da lei, che lo fece con dolcezza e disperazione. Poi però, quando la ragazza cercò di andare oltre, Debbie si oppose.

- No, ti prego.

- Proprio non vuoi?

- No. Proprio no.

- Va bene, Debbie. Ti capisco e ti rispetto. Volevo dirti che tu hai rappresentato molto per me, e non solo 

   per quanto riguarda il lavoro. 

- Anch’io ti voglio bene, Jane. Ma non in questa maniera.

L’americana sorrise. – Allora… buona notte.

Il giorno dopo la accompagnò all’aeroporto con la sua auto color ciliegia, attendendo con lei nel terminal fino a non molto tempo prima della partenza. Poi si abbracciarono e si separarono. Per sempre. Perché quando Jane fu di ritorno a casa mangiò qualcosa, bevve molto di più, e poi si diresse in bagno, dove aperto l'armadietto dei medicinali prese la scatola di sonniferi che talvolta usava per cercare di prendere sonno. Ci aveva pensato a lungo, sull’opportunità di quel gesto, ma poi si era decisa. La voce non l’avrebbe più riacquistata. E la sua carriera poteva considerarsi finita. Sì, in Italia aveva avuto successo con quella serie Tv, e con la seconda probabilmente il successo si sarebbe ripetuto. Ma poi?

Per quanto altro tempo avrebbe potuto andare così? Certo, aveva accumulato denaro più che sufficiente da poter vivere a lungo di rendita. Poteva poi sempre realizzare dei servizi fotografici, dei videoclip per ancora qualche anno. Ma tutto ha una fine e forse anche un fine, e se lei avesse cambiato professione, non avrebbe fatto più niente. Non era in grado di scrivere, di comporre canzoni, di dipingere. Per cui, quella prospettata era secondo lei la soluzione migliore. E poi, che coraggio avrebbe avuto di ripresentarsi di fronte a Debora dopo quello che aveva tentato di fare la sera prima? Così, accese il televisore, il lettore del videoregistratore e lo innestò su un video che raccoglieva episodi della sua serie americana, realizzati quando ancora la sua voce c’era e il futuro appariva come una nuvola rosa che colorava con il suo magico colore l’orizzonte. Era stato allora bello vivere e sognare, era stato bello sperare.

Sorrise, mentre si rivedeva com’era. Dopodiché mandò giù con l’acqua tutte le pillole, e gradualmente finì per addormentarsi. L’avrebbero trovata così il mattino successivo, quando sarebbe venuta la donna delle pulizie come faceva ogni giorno. Debbie a quell’ora sarebbe stata ancora in viaggio verso l’Italia, diretta a casa, dal marito e poi al suo lavoro. E la notizia forse l’avrebbe appresa in volo. Era una cara ragazza, Debbie. E conoscerla era stato per lei come un dono dal cielo. Ma non se la sentiva di andare avanti guardando continuamente indietro. Quella perciò era per lei la soluzione migliore.


Antonio Mecca

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