IL GIALLO DELLE 20:00

Capitolo sette

Sulla strada del ritorno mi fermai al primo motel che incrociai, entrando nello spiazzo e fermando accanto all’ufficio della ricezione. Quando feci il mio ingresso non trovai nessuno, tranne un uccellino chiuso in gabbia che mi fissò con sguardo invidioso. Io potevo entrare e uscire come meglio credevo, mentre lui sarebbe uscito da quella gabbia schifosa solo a morte avvenuta. Una donna più o meno della mia età uscì da una stanza a sinistra dell’ingresso. Era bionda per via della tintura utilizzata dal suo parrucchiere, e tinte aveva anche le unghie delle mani e dei piedi, le labbra carnose, le ciglia degli occhi e le guance paffute. Se il colore che si portava addosso avesse potuto venire disciolto e portato nell’officina da me poco prima visitata, sarebbe stato sufficiente per ricoprire la carrozzeria di una utilitaria. Risultando così lei più utile e meno ridicola.
- Buongiorno - salutò col tono di voce tipico di un commerciante di fronte a un possibile cliente: gentile, cerimonioso, simpatico, educato.
- Buongiorno - risposi. - Sono un investigatore privato - dissi mostrandole la licenza - avrei bisogno di farle alcune domande. Tutti e quattro gli appellativi sciorinati prima a proposito della sua voce caddero come frutti da un albero scosso con forza bruta.
- È successo qualcosa?
- Sì - confermai. - Per cui vorrei vederci chiaro.
- A giudicare dalla sua età, per vederci chiaro avrebbe bisogno di inforcare un robusto paio di occhiali.
- Quelli mi servono per vedere da vicino. Ma io ho sempre puntato a vedere lontano. Non replicò, limitandosi ad aspettare.
- In questo motel probabilmente ci è venuta - probabilmente più volte - una coppia formata da un uomo di mezza età e una donna della metà dei suoi anni, una ragazza orientale. Se ne ricorda?
- E anche se fosse?
- Questi due sono scomparsi, ed io vorrei poterne sapere di più. Risultano segnati sul suo registro?
Il nome dell’uomo è Anderson. Peter Anderson. Che poi sarebbe costui – e così dicendo le mostrai la foto di Pete e di Lynn ritratti insieme. Lei le diede un’occhiata, per poi annuire.
- Sì, sono loro. Li riconosco.
- Quattro giorni fa, a sera inoltrata, sono venuti qui?
La donna sfogliò il registro a ritroso, lei sì inforcando gli occhiali, la cui montatura era verde a differenza della sua età, grigia ormai già da alcuni anni.
- Ecco qui – disse. – Peter Anderson e signora. Sabato 18, alle ore 00, 30.
- Erano già stati qui in precedenza?
- Sì. Generalmente prendevano una camera due volte la settimana.
- Che era spesso la stessa?
- Quasi sempre. La numero quindici.
- Attualmente è occupata?
- Sì.
- Accanto ce ne è una occupata dalle stesse persone di sabato scorso?
- Quella più vicina è la numero dodici, in quella occasione occupata da una coppia di giovani innamorati che ci viene di solito una volta la settimana: il sabato, appunto.
- E che era presente, quindi, la sera del diciotto?
- Sì – confermò lei.
- Si ricorda con quale mezzo sono arrivati Anderson e la ragazza?
- Con un taxi.
- Con un taxi? – ripetei sorpreso.
- Sì. Non era la prima volta che giungevano con un’auto pubblica. Anderson da diversi giorni portava un braccio appeso al collo per via di un infortunio – spiegò la donna.

Antonio Mecca



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