IL GIOCOLIERE DELLA LETTERATURA 39
- 19 febbraio 2021 Cultura
Si erano fatte quasi le otto e quindi la coppia decise di fermarsi in un ristorante sulla spiaggia e assaggiare la famosa paella valenciana accompagnata dall’altrettanto famosa sangria. Ordinarono due teglie e due boccali di vino, cenando con calma e parlando poco, guardando molto e limitandosi ad ascoltare i frammenti di dialogo provenienti dai commensali vicini. Quando ebbero pagato il conto il sole era in gran parte tramontato, e così decisero di riprendere l’autobus per tornare in centro.
L’operazione al cuore aveva avuto buon esito, per cui Frédéric era stato dimesso dall’ospedale due settimane dopo, libero di poter fare rientro a casa. La moglie Francoise si era messa al volante della Maserati con lui al fianco - come una spina nel fianco - aveva detto il marito, al che lei aveva sorriso, più per affetto che per altro.
Lasciato l’ospedale l’uomo aveva chiesto alla moglie di deviare per Saint-Chef, per poi dirigersi al cimitero.
- Per quale motivo? – aveva chiesto lei, curiosa.
- Vorrei rivedere la mia tomba.
La donna era abituata alle stranezze del marito, di quell’uomo strano che a lei era piaciuto in quasi ogni occasione, seppure non sempre era stato piacevole stargli accanto. Perché Frédéric era un uomo tormentato, il quale spesso cadeva in depressione e soltanto con la terapia della scrittura riusciva a venirne fuori, quella scrittura prodigiosa che lei tanto aveva amato e amava. Certo, l’uomo era invecchiato e il suo personaggio pure, la scrittura si era appesantita di lunghi periodi e di personaggi talvolta sgradevoli, ma era pur sempre un piacere leggerla. Lei, Francoise, aveva 57 anni; a quella stessa età lui aveva già da qualche anno dato l’avvio a quella fase due in cui la sua scrittura era degenerata in una sorta di cupio dissolvi. Personalmente la donna la preferiva alla fase uno dove le storie talvolta strampalate ma pur sempre godibili da leggere erano inzeppate di sparatorie, scazzottature, inseguimenti. Ma certamente quelle del primo periodo avevano questo che al secondo mancavano: la voglia di vivere, di proseguire, di perseguire una meta che andava prospettandosi sempre più luminosa. Quelle storie poi lo avevano reso ricco e famoso, riservandogli una nicchia nel pantheon della letteratura di evasione.
Giunsero a Saint-Chef, costeggiarono la piazza e proseguirono fino alla sommità della collina che ospitava il cimitero. Scesero dall’auto, avvicinandosi al cancello come sempre o quasi sempre semplicemente accostato. Frédéric lo spinse con una certa emozione, prendendo poi ad avanzare con passo sicuro. Si sentiva bene, quasi che l’operazione al cuore lo avesse ringiovanito.
La tomba era stata richiusa, tornando ad essere come sempre era stata.
Sorrise. Che avventura aveva vissuto! Le si fermò di fronte, specchiandosi quasi nel nero lucido del marmo.
Poi rivolse la sua attenzione alla tomba adiacente del cugino, alla cui croce si era attaccato con la cinghia dei pantaloni. C’era stato un tempo in cui si era maledetto per avere permesso che quella tomba venisse a rovinargli la solitudine post mortem che si era scelto. Ma visto come aveva potuto uscirne proprio grazie ad essa, allora adesso la considerava la benvenuta. Continuando a sorridere, rivolto alla moglie disse:
- Possiamo andare, Francoise: presto ci tornerò, ma questa volta nelle giuste condizioni.
Lei non disse nulla.
Il viaggio di ritorno in Svizzera si svolse in maniera tranquilla, con soltanto tre fermate necessarie al rifornimento di carburante e per quello loro, più le necessarie soste alla toilette. Arrivarono a tarda sera,
nella loro bella casa di Bonnefontaine, nei pressi di Friburgo. I domestici li accolsero con affetto e simpatia, e lui ringraziò con simpatia e affetto, cercando di sorridere con l’empatia che fino a qualche anno prima lo aveva caratterizzato. Ma da oramai diversi anni il suo volto era mutato, assumendo sembianze più appesantite e sofferte. Gli anni, il cuore malato, una certa stanchezza esistenziale avevano lasciato il segno. E non era quello di Zorro, perché a tracciarlo non era stato un fioretto bensì una scimitarra di pirata turco la cui lama era più adatta a decapitare che non invece a pungere, a espungere: definitivamente, la vita di coloro che venivano da essa colpiti.
- Be’, eccoci qua – esclamò lo scrittore con tono che voleva essere brillante.
- Riposati, Frédéric – gli consigliò la moglie. – Sarai stanco.
- E allora tu che hai guidato per tutto il tempo?
Lei avrebbe voluto replicare che non aveva subito una operazione al cuore, e soprattutto che aveva vent’anni di meno. Ma naturalmente non lo fece, anche perché lui aveva nel frattempo compreso.
Uno dei domestici gli si rivolse:
- Signore, è arrivato un pacchetto per voi, la scorsa settimana. Dalla Spagna.
- Dalla Spagna? – chiese e si chiese lo scrittore. – Va bene, vediamo un po’.
Il cameriere si allontanò per poi tornare di lì a poco con un pacchetto formato A4.
Frédéric Darc lo aprì, perplesso, per di lì a poco rimanere sorpreso e felice. Dentro, c’era il dattiloscritto del romanzo da lui scritto durante la prigionia, più una lettera, che diceva:
“Caro Frédéric, ho letto il tuo romanzo: è bellissimo. Ti ringrazio per come hai saputo descrivermi, e ti chiedo perdono per quello che ti abbiamo fatto passare. Augurandoti un buon ristabilimento, con affetto ti abbraccio.
Marie
P.S. Voglio vederlo pubblicato entro la fine dell’anno!”
Antonio Mecca