IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE

Quando il giallo corre dal libro al film

Quando il giallo corre dal libro al film

Lo scorso mese è uscito nelle sale cinematografiche il rifacimento del film "Il giustiziere della notte", con Bruce Willis protagonista, la cui prima versione comparve nel 1975 diretta dall'inglese Michael Winner e interpretata dall'americano di origine polacca Charles Bronson. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Brian Garfield, scrittore americano nato a New York il 26 gennaio 1939 ma cresciuto in Arizona, il quale dopo svariati mestieri avrebbe esordito nel campo della letteratura nel 1960 con il romanzo "Range Justice", primo di una nutrita serie di western: una trentina circa, che avrebbero a loro volta nutrito lui e la sua famiglia. Fra questi, "Gli ultimi giganti", da cui venne tratto un film interpretato da Charlton Heston e James Coburn. La storia è ambientata nel 1913, quando il selvaggio West è terminato da un pezzo ma non con lui i selvaggi uomini che lo avevano popolato dopo averlo spopolato della precedente popolazione nonché essersi uccisi a vicenda per decenni. Susan, la figlia di un maturo ex sceriffo, viene rapita per vendetta da un evaso dal carcere di Yuma che lì si trovava perché catturato e fatto processare dallo sceriffo Sam Burgade. La figlia, nel film interpretata dalla bella e brava Barbara Hershey, viene successivamente stuprata e poi - alla fine della storia - liberata dopo una sparatoria. Nel 1972 Garfield pubblica il romanzo "Death Wish", che narra di un uomo: Paul Benjamin, la cui moglie muore dopo una rapina avvenuta nel loro appartamento mentre la figlia finisce in seguito per impazzire. Paul lavora per una finanziaria, e durante un breve trasferimento in Arizona acquista presso un'armeria due pistole. Una volta fatto ritorno a New York utilizzerà contro i criminali che tenteranno di rapinare lui e altre persone, oppure mentre carichi di refurtiva lasceranno gli appartamenti degli stabili appena depredati. Dopo avere ucciso molte persone, Paul Benjamin (che spesso nella vicenda si comporta come l'altro Benjamin: Franklin, l'inventore del parafulmine, attirando a sé i fulmini scagliati dai criminali per poi - come un boomerang - rinviarglieli) nel finale incontrerà un poliziotto, che pur comprendendo chi quell'uomo sia, anzi proprio per questo motivo, lo lascerà andar via. Il romanzo - e il film - riscossero un grande successo e scossero le coscienze di alcuni avveduti lettori o spettatori, che compresero che un personaggio come quello di Paul, è pericoloso quanto e forse più di certi incalliti criminali, perché una volta fatto il callo alla giustizia privata si imbocca una strada di non ritorno che è meglio evitare di prendere. Garfield scrisse tre anni dopo: 1975, il seguito: "Death Sentence", questo più che altro per stabilire che il protagonista: pur con tutte le attenuanti del caso, era un pazzo. Il primo film della serie - secondo le parole dello scrittore - doveva essere diretto dal bravo Sidney Lumet e interpretato dall'ottimo Jack Lemmon, girato con pellicola bianco e nero. Però per svariati motivi così non andò, creando scontento soprattutto nello scrittore. È interessante sapere che il nome del protagonista: Paul Benjamin, è il medesimo dello pseudonimo adottato da Paul Auster nel suo romanzo d'esordio "Gioco suicida", pubblicato nel 1978. Paul Auster, autore che di lì a pochi anni avrebbe conquistato un posto di rilievo nel fertile campo della narrativa contemporanea americana, fertile perché la terra seminata è ricettiva all'accoglienza di semi fruttiferi e non di semi illetterati i quali pretendono solo e  senza averne titolo alcuno. Il romanzo, che alla sua uscita fu male distribuito e malissimo andò in quanto a vendite, venne ristampato nel 1997 in un volume comprendente anche una breve biografia scritta dallo stesso Auster, tre brevissimi atti unici e un gioco di carte sempre creazione dello scrittore americano. Il romanzo vede come protagonista un detective privato newyorkese: Max Klein, che come personaggio e soprattutto come stile può anche ricordare il Phil Marlowe di Chandler che esattamente vent'anni prima: 1958, comparve nell'ultimo suo romanzo: "Playback". Pur trattandosi di un romanzo di schietta imitazione, non fischietta però arie già note né è un romanzo di limitazione: limitazione allo stile e alla fantasia, ma - anzi - un buonissimo romanzo. E poi a un libro originale ma scarso, è forse preferibile un libro imitativo ma ben scritto. Per tornare a Brian Garfield, il romanzo "Death Wish" - "Il giustiziere della notte", ripubblicato nel febbraio scorso dall'editore romano Fanucci, è un libro più che buono da leggere non tanto e non solo per le scene d'azione ma anche e soprattutto per le descrizioni, i dialoghi e i monologhi (vedi quello pronunciato dall'avventore di un bar all'inizio del capitolo 10). Brian Garfield utilizzò ben otto pseudonimi nella prima fase della sua carriera di scrittore, producendo oltre sessanta romanzi. La tesi dell'autore che già sembrava essere sufficientemente chiara nel primo dei due libri alla figura del giustiziere dedicati ma che nel secondo è più che netta, è che non ci si può fare giustizia da soli come attualmente si fanno foto da soli (magari in auto mentre si guida, per poi andarsi a schiantare e a schiattare su altri automezzi), trasformando e sformando le strade delle città in quelle dei villaggi del West dell'Ottocento, pena il disordine e l'anarchia. Purtroppo gli esseri umani non migliorano granché con il passare dei secoli, e per questo è necessaria la presenza delle forze dell'ordine e della magistratura che siano davvero presenti e sappiano ben applicare le leggi per proteggere la Società e i suoi abitanti. Pena il proliferare di vigilantes che aggiungerebbero disordine al disordine già in atto portando all'inevitabile ultimo atto la nostra Società che già fin d'ora non può certo dirsi messa bene.  

Antonio Mecca

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