IL GROTTESCO NEI FILM DELLA WERTMULLER

La morte di Lina Wertmuller avvenuta a Roma all'età di 93 anni (era nata nel 1928, sempre a Roma) è stata giustamente celebrata perché Arcangela (Lina) Felicia Assunta Wertmuller von Elgg Spanol von Braucich per quarant'anni ha rappresentato al suo meglio il Cinema italiano nella sua popolarità più grande, dove il grottesco delle sue storie iniziava fin dai chilometrici titoli, trasposizione del proprio nome altrettanto chilometrico, che ogni tanto l'Artista rievocava con ironia, alla maniera di Totò quando snocciolava i suoi titoli nobiliari. Lina era figlia di un uomo originario di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, e di una donna romana, nobili entrambi. Gli avi provenivano dalla Svizzera, e forse per questo lei era così tedesca nel dirigere gli attori, arrivando a sbraitare loro contro se si comportavano come lei non voleva (a Luciano De Crescenzo, reo di gesticolare troppo con un dito, glielo morse, quel dito, affinché si ricordasse di non farlo più). Probabilmente questo avvenne sul set di "Sabato, domenica e lunedì", film tratto dall'omonima commedia di Eduardo e interpretata dal figlio Luca, da Sofia Loren e da De Crescenzo, appunto. Commedia questa fra le più belle del grande commediografo napoletano, la quale venne stupidamente cancellata per l'idiozia dei responsabili Rai degli anni '60 insieme ad altre due sue commedie perché costando troppo i nastri per la registrazione bisognava riutilizzare quelli già usati affinché si potessero incidere altri capolavori (tipo "Topo Gigio" o "Le avventure dei "ragazzi di Padre Tobia". Lina Wertmuller dirigeva con mano sicura le scene che spesso era lei stessa a scrivere prima e a descrivere poi, prediligendo situazioni forti che i suoi attori (in special modo i prediletti Giancarlo Giannini e Mariangela Melato) animavano alla grande, raggiungendo le note più alte del diapason da lei suonato. Tramite lei Giancarlo Giannini ottenne un successo memorabile in America, e questo soprattutto con il film "Pasqualino Settebellezze", nonché con i precedenti "Mimì Metallurgico ferito nell'onore" e "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto". E, con lui, la sua grande partner Mariangela Melato, di certo una delle attrici più brave del cinema italiano (e non solo italiano) della seconda metà del Novecento. Gli devono molto anche Rita Pavone - che nella trasposizione televisiva di "Gianburrasca" gigioneggiò alla grande nonostante fosse ancora una ragazzina e non superasse il metro e cinquantatré - e Sofia Loren, che sotto la sua regia ebbe modo di furoreggiare con i suoi furori napoletani in "Fatto di sangue", "Sabato, domenica e lunedì" e in "Peperoni ripieni e pesci in faccia". La Wertmuller, che fu sbeffeggiata da Nanni Moretti in un suo film e al quale volendo nonostante tutto stringergli la mano se lo vide voltarle le spalle perché un tipo così: troppo grande per chiunque, non poteva certo abbassarsi nel fraternizzare con quella che veniva considerata da lui e da quelli come lui un sottoprodotto dell'industria cinematografico-televisiva-libraria. Esseri come lui, pardon: Lui, non ammettono di poter condividere la gloria con esponenti da Lui e da Loro considerati, come scriveva Chandler, "Falsi naif, Proust in tuta bisunta, marmocchi sporcaccioni con un pezzo di gesso in mano davanti a una staccionata mentre nessuno li vede."
Insomma: degli elementi di serie B impegnati nella realizzazione di film di serie C, i quali possono piacere soltanto a quei gran giuggioloni degli americani, che ancora ci vedono come gli eredi dei mandolinisti e posteggiatori della tradizione, tutti "Sole, pizza e amore", come si intitola una delle canzoni più divertenti del Quartetto Cetra. Ma: alla faccia sua e di quelli del suo stampo, Lina Wertmuller può essere anche stata lo Jacovitti del cinema italiano degli anni Settanta-Ottanta (a parte che il venire paragonata a un grande artista come Jacovitti è stato rappresenta un punto di forza) ma ha saputo fare breccia con i suoi 23 film nel cuore della gente, così come certi suoi colleghi scrittori o musicisti che senza volersi paragonare a Manzoni o a Dante, a Mozart o a Verdi hanno prodotto con la loro bravura di onesti artigiani opere che sono come solide sedie che reggono il posteriore della gente ma non certe omonime facce che neppure una barba a collare o protocollare appositamente fatta crescere riesce a celare.
Antonio Mecca

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