Il racconto delle 24 IL ROGO di Yari Lepre Marrani 2

Solo adesso, nel pieno di un marasma che lo stava travolgendo e di un’angoscia che lo avrebbe portato verso l’autodistruzione, comprese ciò che stava facendo, capì che il fuoco che aveva deciso di appiccare era il bagliore riflesso della sua anima tormentata, era la proiezione del fuoco indomabile e infelice che covava dentro; un fuoco che lo stava lentamente divorando. Tutto era pronto per l’ultima, tragica messinscena della vita di Peter: ultima e fatale. Verso le 8.00 il giovane entrò in uno store già aperto che vendeva tutto, alimentari compresi. Peter conosceva il titolare e la figlia, una ragazza di 19 anni che aveva tentato senza successo di corteggiare e sedurre. Entrò e si guardò attorno: era straniato, terribilmente stanco e interiormente stressato ma era ancora lucido, follemente lucido. Prima di rivolgersi alle casse, cercò di esorcizzare i suoi demoni e prese in mano alcuni snack e dolciumi che avrebbe consumato durante il lungo viaggio sui mezzi pubblici verso la sede della sua Università, alla parte opposta della città. Il titolare del piccolo negozio lo conosceva anche se non ricordava bene il nome di quel giovanotto. La figlia si chiamava Deborah ed era una bella ragazza giovane, piuttosto attraente e curata nell’aspetto, aiutava il padre nella gestione del negozio quando non si limava le unghie laccate di nero. Peter salutò l’uomo “Buongiorno…vorrei…” e si bloccò. Il titolare rispose al saluto con un “Ciao” freddo quindi si accorse che quella mattina Peter aveva una brutta cera e trasmetteva uno strano sentimento d’inquietudine. “Vorrei un contenitore di benzina, una tanica da tre litri” disse Peter. Il padrone del negozio lo guardò straniato, non si aspettava una richiesta del genere. Fu allora che il ragazzo capì che doveva depistare un po’ il suo piano. Disse col suo tono confuso e sommesso “Mi serve per la macchina, sono a secco e non ci arrivo alla prossima stazione di servizio con l’auto. Cose che non dovrebbero capitare ma capitano!”. Il ragazzo fu convincente e il titolare si tranquillizzò, andò nel reparto giusto e prese ciò che Peter gli chiedeva con insistenza. La figlia Deborah uscì dal retro del magazzino, vide Peter e lo salutò calorosamente. “Ciao, come stai?” le disse il ragazzo in risposta, "Così, tutto bene, mi fa un pò male la schiena".La ragazza era visibilmente stanca ma aveva simpatia per quello strano studente e iniziarono a conversare. In passato Peter aveva cercato un dialogo ed un rapporto con lei ma quest’ultima si era irrigidita e si era tirata indietro ai primi approcci, forse bloccata dall’aura di inquietudine che emanava quel ragazzo. Peter le chiese come avrebbe trascorso la giornata, forse consapevole che per lui il giorno seguente non ci sarebbe mai stato. Mentre Deborah rispondeva alle sue domande così inutili, Peter la guardava insistentemente negli occhi come per trovare nella sua rosea bellezza primaverile un motivo recondito per sfuggire al destino che aveva così atrocemente scelto. “Oggi non pioverà, ne sono certo. Dicono che ci sarà bel tempo tutto il giorno, Deborah.” disse il giovane durante la conversazione senza sapere neanche lui cosa stava realmente dicendo, "Meglio così, io odio la pioggia!" rispose Deborah abbozzando un sorriso di cortesia mentre si chiudeva in un laccio la folta chioma di capelli bruni. Mentre parlavano, ritornò il padre della ragazza con quello che Peter gli aveva chiesto: una tanica di benzina da tre litri, una di quelle ad alta densità di polietilene. Deborah chiese al giovane a cosa gli servisse e Peter replicò la stessa risposta evasiva data prima al padre della ragazza. “Quanto le devo signore?” “Dieci euro e cinquanta!” disse l’uomo al ragazzo che infilò la mano nel suo magro portafogli e pagò la somma. Peter chiese un sacchetto di plastica nero, vi infilò dentro il contenitore e salutò entrambi. “Ciao bella” disse alla ragazza e fece per uscire. Ma si voltò di scatto verso Deborah. Gli occhi di Peter si fissarono un attimo su di lei, sulla sua pelle vellutata, sulla sua faccia di pesco, sui suoi seni floridi e sensuali. La guardò per un istante e cercò nei suoi occhi quell’alito di speranza che avrebbe forse potuto salvarlo da se stesso, cercò in lei una ragione per andare avanti ma non la trovò: l’abisso in cui era caduto era talmente profondo da impedirgli di vedere in una bella ragazza un alito di vita tale da farlo rinsavire. Uscì dal negozio con aria frettolosa e misantropa,  di chi vuole rimanere perennemente sulle sue. Pensava e ripensava alla bontà della sua scelta, alla giustizia della sua decisione e capì, mentre percorreva il percorso che portava ai mezzi pubblici, che non c’era altra scelta per un uomo come lui perché era la sua stessa vita che lavorava contro di lui. Pensava anche a suo padre ed alla sua povera mamma, morta due anni prima di cancro al Policlinico di Milano. Stava quasi per piangere ma alla fine non versò una lacrima e gelidamente proseguì il suo cammino. In fondo doveva compiere un grave delitto, un crimine che avrebbe contenuto la sua fine: non poteva certo essere distratto da pensieri legati alla sua famiglia. Pensieri che sarebbero sicuramente stati un ostacolo alla realizzazione del suo piano omicida, vista la tristezza e l’angoscia paralizzante che gli suscitavano. La sua famiglia si era ridotta al solo papà, un uomo di 63 anni rimasto infelicemente vedovo dopo la prematura scomparsa dell’amata moglie. Un uomo che viveva solo per il figlio e per la sua laurea, che credeva imminente; lo manteneva e Peter gli voleva molto bene, era affezionato a lui come un vero figlio è innamorato del proprio unico genitore, lasciando da parte remore e amarezze personali che avrebbero senz’altro leso il loro bel rapporto. Ma adesso Peter stava salendo sul tram che lo avrebbe portato verso il suo destino. Non aveva lasciato nulla di scritto al padre, nulla! Nessun messaggio né parola che potessero far sospettare al genitore delle amarissime intenzioni che aveva preso il suo unico figlio. Peter salì sul mezzo pubblico colmo di depressione e tristezza, aveva deciso e non voleva tornare indietro. Strano controsenso: la tristezza assassina che il ragazzo portava dentro fu, sino all’epilogo del suo gesto, il motore che ne rese glacialmente vigile la ragione. Il tram che portava in centro correva spedito verso la parte diametralmente opposta di Milano, correva con a bordo un piromane, un giovane che aveva scelto di morire. Mentre si avviava verso l’ultimo tragico tassello della sua esistenza, Peter guardava fuori dal finestrino. Non pioveva, come aveva detto a Deborah, e c’era un buon clima mattiniero temperato. Peter versò una lacrima, cercava di non pensare a suo padre ma il tormento per la sua solitudine era troppo forte e non poteva fare a meno di pensare a lui, alla sua abnegazione per quel figlio immaturo e criminoso. Verso due, tre lacrime ma si asciugò subito la faccia con un fazzoletto di carta. Non voleva che gli altri passeggeri lo vedessero piangere: un uomo non dovrebbe piangere mai tantomeno in pubblico, neanche quando il tormento della disperazione lo assale e lo divora. 

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