IL VENTENNIO DELL'EURO HA 20 ANNI MA RESISTONO LE DISUGUAGLIANZE»
- 18 febbraio 2019 Cultura
È tempo di un bilancio che, al solito, si presenta con luci e ombre. Vediamo perchè.
Si ritiene che la moneta unica sia stata imposta dalla Germania il cui marco forte creava difficoltà alle sue esportazioni. Risponde al vero solo in parte. I Paesi più industrializzati - Germania, Francia, Olanda, e... Italia trainata dal Nord - ritennero opportuno coalizzarsi per adeguarsi alla globalizzazione, dotandosi di una Banca centrale, bloccando le svalutazioni competitive, mantenendo bassi i tassi di interesse e l' inflazione. Obiettivi raggiunti. Ma non si pensò a meccanismi di intervento in caso di crisi in quanto era il “totem mercato” che avrebbe premiato i buoni (gli operosi e i parsimoniosi europei del Nord) e punito i cattivi (i meno inclini al rigore dell’Europa del Sud).
Il brusco risveglio dall’utopia avvenne nel 2008 e partì proprio dai templi di Wall Street. La crisi, prima soltanto finanziaria, si trasformò presto in crisi economica: ma mentre gli Stati Uniti inondavano banche e imprese con migliaia di miliardi di dollari, l’Eurozona imponeva, con una rigidità degna di miglior causa, severe misure restrittive. La distruzione morale e materiale della Grecia servì da esempio agli altri Paesi Pigs: Portogallo, Italia, Spagna.
Il risultato: contrazione della produzione, fallimento delle imprese, crescita della disoccupazione, caduta dei salari reali, crescita delle povertà e delle disuguaglianze non solo tra Paese e Paese ma anche all’interno di uno stesso Paese, tra città e campagna. E la nascita di un profondo risentimento verso la madre Europa rivelatasi feroce matrigna, che si è tradotto nei cosiddetti populismi.
Siamo ancora lontani da un sano equilibrio. In un modello economico export led - basato sulla promozione delle esportazioni - quale è quello europeo, la Germania domina a danno dei Paesi meno forti. Continua a esportare per il 36% del Pil (nel 2017 1.330 mld di dollari con un Pil di 3.680 mld di dollari) realizzando un surplus commerciale - la differenza tra esportazioni e importazioni - monstre di 300 mld di dollari. Ma non reinveste, né in consumi (la spesa per i consumi è scesa e oggi si attesta al 54% del Pil, a confronto del 69% in America e del 65% in Gran Bretagna), né in beni strumentali, né nelle infrastrutture. In pratica, questo significa che altri Paesi si stanno depauperando, in particolare Italia, Grecia e Spagna.
Il risultato: contrazione della produzione, fallimento delle imprese, crescita della disoccupazione, caduta dei salari reali, crescita delle povertà e delle disuguaglianze non solo tra Paese e Paese ma anche all’interno di uno stesso Paese, tra città e campagna. E la nascita di un profondo risentimento verso la madre Europa rivelatasi feroce matrigna, che si è tradotto nei cosiddetti populismi.
Siamo ancora lontani da un sano equilibrio. In un modello economico export led - basato sulla promozione delle esportazioni - quale è quello europeo, la Germania domina a danno dei Paesi meno forti. Continua a esportare per il 36% del Pil (nel 2017 1.330 mld di dollari con un Pil di 3.680 mld di dollari) realizzando un surplus commerciale - la differenza tra esportazioni e importazioni - monstre di 300 mld di dollari. Ma non reinveste, né in consumi (la spesa per i consumi è scesa e oggi si attesta al 54% del Pil, a confronto del 69% in America e del 65% in Gran Bretagna), né in beni strumentali, né nelle infrastrutture. In pratica, questo significa che altri Paesi si stanno depauperando, in particolare Italia, Grecia e Spagna.
In conclusione. L’euro non è né buono né cattivo; è, semplicemente, superato dai rapidi e talvolta tragici (Grande Recessione) cambiamenti che la storia sociale ed economica impone. Esso dunque suppone una Unione Europea diversa, e profonde modificazioni dell'attuale impostazione.