Istruzione & Formazione News n. 3

Cattive notizie sulle iscrizioni alle scuole superiori: cresce ancora il Liceo delle scienze umane, ristagna la formazione per il lavoro

 

Come tutti gli anni alla fine di gennaio si chiudono le iscrizioni alle scuole secondarie superiori italiane, un indicatore importante delle tendenze di studenti e famiglie.

A livello nazionale le iscrizioni ai licei crescono ancora raggiungendo il 57,1 dal 56,6. Ma non sono i licei tradizionali a crescere: il liceo classico scende ancora dal 6,2 al 5,8 ed il Liceo Scientifico è sostanzialmente stabile sul 26%, con ancora la prevalenza del liceo tradizionale su quello ad indirizzo più decisamente scientifico-tecnologico senza latino. Quello che ancora cresce è il Liceo delle Scienze Umane che passa dal 10.3 all’11, 2 con l’incremento maggiore fra tutti gli indirizzi. Anche il Liceo Linguistico si espande passando però solamente dal 7,4 al 7,7. Sostanzialmente stabili l’indirizzo Europeo ed Internazionale ed i Licei Musicali, con una diminuzione degli Artistici sull’ordine del 0,6%. Dunque l’aumento dei licei è dovuto al Liceo delle Scienze Umane

Si dice che i Tecnici aumentano ma si tratta di soli 0,2 punti. Qui chi cresce davvero è quello che una volta era l’Istituto Tecnico Commerciale mentre, ahimè, dopo tanti discorsi sulla carenza di manodopera qualificata nel settore industriale quelli che un tempo venivano chiamati ITIS calano ancora di un punto tondo da 20,4 al 19,4.Lo stesso punto guadagnato dal Liceo delle Scienze Umane. Informatica e telecomunicazioni stanno al 6,4 -non gran cosa- ma Meccanica e Meccatronica da una parte  e Chimica dall’altra attirano l’interesse solamente del2,8 e del 2,4% . Qualche segno di resipiscenza dunque per il settore terziario che vede nelle segreterie delle scuole file di aspiranti datori di lavoro senza risposta, ma situazione disastrosa in misura crescente nel campo scientifico tecnologico che potrebbe offrire ai giovani concrete occasioni di lavoro ed al paese un futuro diverso da quello di “sole mare e…”

Ancora peggio i Professionali che diminuiscono di nuovo dal 12,7 al 12,1. E dunque il campo della formazione per il lavoro subisce una ulteriore perdita dello 0,4%. Sarebbe molto interessante avere i dati della Istruzione e Formazione Professionale che, essendo in capo alle Regioni, non entra in queste statistiche. Ma le Regioni non sono tenute a darli ed in tutte le occasioni si è registrata una grande difficolta ad ottenere quelli delle regioni del Sud.

La situazione delle Regioni peraltro si presta ad interessanti riflessioni: il Veneto dalla vicinanza con il mondo Germanico trae la primazia nelle iscrizioni ai Tecnici, il Lazio vedei licei in testa, come capitale del terziario burocratico e l’Emilia Romagna forse deve il primo posto nei professionali alla presenza di una forte immigrazione in via di integrazione, che da sempre sceglie questo percorso formativo come prima via di accesso alla scolarità superiore.

In conclusione, continua il trend che svuota progressivamente la formazione per il lavoro a favore di una licealità leggera.

La situazione della Lombardia non è molto diversa, anche se segna un leggerissimo cambio di passo. Ultima a cedere nel passato alla marea montante del Liceo delle Scienze Umane, potrebbe essere l’antesignana di una inversione di tendenza. Anche qui calano il Liceo Classico ed anche un po' lo Scientifico ed anche qui cresce la licealità leggera. Ma un +0,3 degli Istituti Tecnici ed un + 0,2 dei Professionali potrebbe fare ben sperare. Il commento più centrato forse è stato quello di una preside che ritiene che le famiglie dopo il Covid cerchino per i figli “contesti che li mettano meno in difficoltà”.... Un bell’eufemismo.

La tendenza a disertare la formazione per il lavoro, soprattutto nel campo tecnico scientifico, non è solo italiana.

Nell’Occidente affluente la tendenza a prolungare la scolarità dei figli e con ciò l’allontanamento dal lavoro è ben radicata dall’ultimo decennio del secolo scorso. Si tratta sostanzialmente di un consumo ostensivo: il figlio fino alla maggiore età- ed anche oltre- frequenta una scuola che non lo porta direttamente al lavoro, perché la famiglia non ne ha bisogno, in grazia del crescente benessere e può offrire ai suoi giovani membri un periodo più lungo di libertà dai vincoli. La tendenza ad una formazione per il lavoro relativamente precoce anche perchè rispettata socialmente è rimasta forte nel Centro Europa. Con la Germania che dal Beruf (Dovere) di origine protestante trae il consenso per una canalizzazione a 11 anni  che il tentativo di creare una scuola più a lungo comune (Gesamtschule) da parte dei Lander socialdemocratici del Nord non ha significativamente scalfito. Nella Europa Est ex- comunista poi rimane la tradizione della formazione politecnica tipica di quei sistemi scolastici, più orientata alla scienza ed alla tecnica che alle humanities, viste a livello formativo come tipiche delle classi un tempo privilegiate.

Ma negli altri paesi occidentali affluenti si fa fatica a trovare i candidati per le formazioni STEM (Science, Technology, Engeneering and Mathematics).   PISA – l’indagine internazionale di OCSE sulle competenze dei quindicenni- ha dichiaratamente mantenuto Scienze fra i campi oggetto della sua indagine a questo fine ed OCSE moltiplica le ricerche con tanto di esortazioni verso le formazioni STEM. Anche perché nei paesi dell’Estremo Oriente ed anche in India si preparano plotoni di forza lavoro attiva in questo campo, uno degli elementi fondamentali dell’attuale loro sviluppo.

Ma l’Italia porta agli estremi questa tendenza. Pensare però che tutto derivi solo, se non principalmente,  dalla scuola e dal suo lavoro di orientamento sarebbe miope. Come dimostrato da ricerche sul tema, anche investimenti significativi in progetti che cercano di reindirizzare verso la formazione per il lavoro l’orientamento che dà la scuola hanno ricadute limitate.   Le famiglie -perchè di questo si tratta- si muovono in modo autonomo rispetto ai consigli scolastici, secondo trend di largo impatto e lunga durata su cui la scuola può fare fino ad un certo punto e cioè molto poco.

È vero che gli insegnanti tendono a riprodursi socialmente: figli della piccola borghesia che nella istruzione universitaria preceduta dal liceo hanno trovato fin qui uno strumento di miglioramento o -più spesso negli ultimi tempi- di permanenza in un ceto sociale che vivono come relativamente privilegiato, vedono la formazione per il lavoro come un declassamento. E certi filoni di ricercatori ne riproducono i pregiudizi, considerando che l’accesso ai licei non meglio specificati sia un indicatore evidente di mobilità sociale verso l’alto di ragazzi provenienti da strati sociali bassi.

Una osservazione interessante è venuta da una ricerca presentata al Seminario Invalsi dell’ottobre 2022. Il settore verso cui puntare per invertire questa tendenza, sarebbero le ragazze, che nel nostro paese disertano in misura superiore a quella degli altri paesi la formazione per il lavoro in campo scientifico- tecnologico. Ma che contemporaneamente mostrano notevoli e crescenti capacità negli studi, con risultati nel complesso superiori a quelli dei maschi coetanei, i quali mostrano un persistente zoccolo duro di irriducibili alla scolarità. Sono dunque solo fattori culturali legati a una idea di femminilità molto tradizionale che le lanciano in massa verso il liceo delle scienze Umane.  Le azioni di orientamento e formazione che negli ultimi tempi si sono cominciate a realizzare dovrebbero moltiplicarsi e, senza trascurare l’importanza della scuola, rivolgersi soprattutto alle famiglie. Anche, come si usa ora, con campagne di immagine sociale.

 A cura di Tiziana Pedrizzi   

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