L’ORO DI NAPOLI-GIUSEPPE MAROTTA
- 09 maggio 2019 Cultura
A cura di Stelio Ghidotti
INCIPIT
Nel maggio 1943, in una sua lettera da Napoli, mia sorella Ada fra l’altro mi scriveva: “Ti ricordi don Ignazio? S’era ridotto a vivere in un basso a Mergellina. L’ultimo bombardamento gli ha spazzato via tutto. Figurati che nella fretta di scappare lasciò sul comodino perfino i denti finti. Ma tu sai che uomo è. Dice che non può allontanarsi dai clienti. Perciò si è allogato nella buca prodotta da una bomba, improvvisandovi un tetto di lamiera. Ha trovato uno sgabello e ha trovato un tavolino. Non so se ti ho mai detto che da qualche anno tira avanti ricopiando musica e dando lezioni di chitarra. Insomma, due giorni dopo il disastro, era già a posto nella sua buca. Si crede che non gli permetteranno di rimanervi. Egli obietta che quello è soltanto il suo ufficio, perché di notte trova ospitalità in casa di un suo allievo. Che tipo. Nella domanda di risarcimento di danni ha scritto: pregovi disporre d’urgenza che mi venga assegnata una dentiera, non potendo in mancanza fumare la pipa”.
FINIS
Sono molto antichi i “sette spiriti” di don Ignazio; perciò egli non può allontanarsi da Mergellina, dove risiedono i suoi allievi di chitarra.
Il mare è a due passi, assorto e solenne davanti a questo martirio come un’acquasantiera. Non appena il mare sarà sgombro di minacce - pensavo nel maggio 1943 - i napoletani intingeranno le dita in questa cara acqua benigna, e fattisi il segno della Croce ricominceranno a lavorare e a ridere.