L’USCITA PROIBITA di A. Fancetti

SECONDA PUNTATA

La stretta via era racchiusa tra due palazzi dalle facciate dipinte di giallo e i balconcini protetti da artistiche grate in ferro battuto, adorne di rigogliosi gerani che spiccavano nel buio della notte diffondendo una nota di allegria. Una musica armoniosa dal sapore antico sfuggiva da una finestra spalancata. Rubina riconobbe il suono di un clavicembalo, uno strumento poco presente nelle case di questi tempi e la ragazza si chiese chi sapesse suonarlo con tanta maestria. Il portone del numero 14 appariva il più dimesso, di legno grezzo e robusto, ammaccato e scolorito dal tempo e dalle intemperie. Rubina si soffermò sull’elenco del citofono in lucido ottone, lo percorse con lo sguardo levando un sospiro di sollievo alla vista del nome che cercava: Adalgisa Vanzaghi. Premette quindi il pulsante pronta a porgere le sue scuse riguardo all’ora tarda in cui si presentava. Dopo alcuni istanti una voce esitante rispose alla chiamata.

- Buona sera signora Vanzaghi, sono Rubina Rimoldi.

-Venga cara, salga al secondo piano, l’attendo sulla soglia.

Il pesante portone si aprì con uno scatto, Rubina percorse un corridoio che portava a un vasto cortile lastricato con ciottoli lucidi tra i quali spuntavano fili d’erba ingiallita. In fondo alla corte un secondo portone del tutto simile a quello appena varcato la racchiudeva sul lato opposto. Una grossa catena serrata da un voluminoso lucchetto rendeva inaccessibile il passaggio da quella parte. La ragazza voltò sulla destra e salì tre gradini di marmo che splendevano alla luce di un vecchio lampadario. Un minuscolo ascensore, ricavato nello spazio della tromba delle scale, sembrava aspettarla. Riuscì a malapena a introdurvi la valigia, chiuse la porta e la cabina salì cigolando sinistramente fino al secondo piano. La signora Vanzaghi l’attendeva sulla porta dell’appartamento paludata in una elegante vestaglia di velluto rosso granata intonata alle pianelle che portava ai piedi, un nastrino dello stesso colore ornato da un cammeo le cingeva il collo grassoccio, mettendo in evidenza un candido décolleté. Il viso rubicondo appariva insolitamente fresco rispetto all’età veneranda della signora, denunciata dalla massa di capelli argentei raccolti sulla nuca.

- Ben arrivata cara! - disse schiudendo le labbra dipinte di rosso in un sorriso a tutta dentiera.

- Buona sera signora, sono molto dispiaciuta per essere arrivata in ritardo, ma nessuno sapeva indicarmi questa via di cui lei mi ha riferito il nome più antico, oggi in disuso - si giustificò Rubina.

- Ma come è possibile? Tutti conoscono via Anfiteatro! - replicò la signora.

- Certamente, ma lei nella lettera mi ha citato via Del Guast. - Adalgisa sembrava molto turbata, un lampo di spavento le attraversò i caldi occhi nocciola. 

- Non capisco proprio come possa essermi confusa… ma lasciamo andare. Ciò che conta è che lei sia arrivata a destinazione. Entri così le mostro l’appartamento.

Superata una piccola anticamera modestamente arredata da un attaccapanni e uno specchio, Adalgisa la condusse in un vasto locale zeppo di mobili d’epoca, divanetti imbottiti, tappeti orientali tavolini intarsiati carichi di porcellane e lampade di Venezia. La finestra spalancata si apriva su uno dei balconcini ornati di fiori che Rubina aveva ammirato dalla strada. Pesanti tendaggi color crema sormontati da una mantovana di velluto rosso completavano l’arredamento spiccatamente retrò. Addossato al muro stava un clavicembalo coperto da un centro di pizzo.

- Che meraviglia! Era lei che suonava poco fa signora Adalgisa? - chiese Rubina.

- Veramente io non ne sono affatto capace… ma venga le mostro la sua camera. 

La stanza era minuscola e graziosa, al centro un letto a baldacchino avvolto da una nuvola di tessuto color albicocca, uno scrittoio dotato di ribalta e cassetti accanto alla finestra che dava sul cortile, e un armadio capiente posto davanti al letto. Rubina ne fu subito entusiasta.

-È la stanza più silenziosa di tutta la casa, qui potrà studiare senza essere disturbata, venga le mostro i servizi e la cucina. - disse Adalgisa.

Il bagno era confortevole e la cucina accogliente, ma del tutto priva di elettrodomestici. 

- Mia cara credo che lei sia ormai molto stanca, le conviene sistemarsi per la notte. La colazione la preparo per le otto e la cena alle venti, ma se le venisse appetito la mia dispensa sarà sempre a sua disposizione. Buon riposo! – disse Adalgisa.

Rubina la ringraziò e si ritirò nella sua stanza dove indossò una lunga teeshirt che usava come camicia da notte. Nella stanza non vi erano specchi che le rimandassero la sua immagine scheletrica. Accese il cellulare aspettandosi di trovare una interminabile fila di chiamate senza risposta. In quello strano appartamento, sebbene fosse situato al centro della città, l’apparecchio non aveva campo. Si coricò quindi nel vasto letto verificando la comodità del materasso. La nuvola di tulle le dava l’illusione di essere protetta. Rimase a lungo a ripensare alle stranezze di quelle ultime ore e all’improvviso si accorse di essere in preda a una fame violenta e implacabile. . Dovette alzarsi, il resto della casa era immerso nell’oscurità, soltanto una lieve striscia di luce sfuggiva da sotto la porta dell’unica stanza che non le era stata mostrata, probabilmente la camera della sua ospite. La cucina aveva un aspetto rassicurante. Sollevò il coperchio di una biscottiera e un profumo goloso le arrivò alle narici. Aprì la credenza e prese una tazza di ceramica. Una piccola brocca colma di latte sembrava fosse lì ad aspettarla. Rubina intinse una notevole quantità di biscotti, quindi addentò una mela rossa posata su un portafrutta a ripiani. Gettò il torsolo nel secchio della spazzatura foderato con vecchi giornali e lavò la tazza nell’acquaio. Sazia e soddisfatta tornò a coricarsi nel suo nuovo nido dove si addormentò di colpo, prima che il suo stomaco avesse il tempo di farle brutti scherzi.

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