LA BAMBINA E IL SUO CARNEFICE - 1

Il locale si trovava nei pressi del lago, non abbastanza vicino alla riva da poterne scorgere le acque ma neppure così lontano da non percepirne la calma indolenza, la costante presenza, l'indifferenza nei confronti del genere umano che quotidianamente lo insidiava con i suoi scarichi inquinanti. Somigliava a un acquario, quel locale, a una grande e trasparente vasca di cristallo con l'azzurra luce di una piscina la cui acqua emanava l'odore del cloro contenuto. Grossi pesci pigramente si muovevano al suo interno perché già da tempo si erano arenati sul fondale infido dell’esistenza. Tre clienti erano intenti a bere bevande alcoliche, quasi a voler gettare alcool sulla loro coscienza per tentare di smacchiarla delle colpe accumulate e ormai stratificate. Il barista dietro il bancone era impegnato ad asciugare bicchieri con ostentata applicazione, simile a un chirurgo dedito a sterilizzare i suoi preziosi strumenti di lavoro.

Il ragazzo, che perlomeno così appariva agli occhi degli altri, era entrato in quel luogo perché attratto dalla sua strana luce di azzurro turchese posto nella vetrina della notte, e procedendo con passo incerto, quasi timido, si era diretto al bancone e lì giunto vi si era appoggiato, provando il fresco piacere dato dal freddo contatto di una superficie di metallo su un corpo accaldato. In quella notte di agosto che sembrava voler restituire tutto il calore accumulato durante il giorno si aggiungeva anche il mistero che da sempre la notte ai nostri occhi rappresenta. 

- Una birra, per favore? - aveva chiesto all’uomo di mezza età dietro il banco. 

Per lui era sempre stato così e sempre lo sarebbe stato per quanto ancora a lungo gli sarebbe restato da vivere. Ipotesi questa ormai da scartare. 

La birra arrivò, senza una parola di accompagnamento da parte del barista, che subito se ne tornò alla pulizia maniacale dei propri bicchieri. Sembrava provasse quasi un piacere sensuale al contatto del cristallo fra le sue dita delicate, da pianista. Come un laido ginecologo intento a palpare rotondità femminili. Il suo giovane cliente afferrò il boccale di birra e per un istante si incantò quasi nell’osservare la propria immagine riflessa e moltiplicata dalle pareti del bicchiere, quasi quadri di una via crucis che girava in tondo come in un tamburo senza portare da nessuna parte: né alla crocifissione finale con annessa ascesa al cielo né a una assoluzione forse neppure desiderata. 

Era un tamburo incapace di emettere suoni perché privo della pelle che lo caratterizza, quasi fosse stato in precedenza scuoiato per ricavarne un boccale, e a lui ricordò il cranio del padre di Rosamunda che la figlia è costretta a utilizzare come bicchiere. Vuotò metà del contenuto rapidamente, quasi con voluttà. Si era sentito bruciare la gola già nell'istante stesso in cui il grido era fuoriuscito da quella gola innocente, come se fosse stato prodotto dalle proprie corde vocali e non indotto dalle sue mani nervose che le avevano circondato l’esile collo dapprima delicatamente, quasi con affetto, e poi con sempre più forza, come le mani di un giardiniere che inizialmente prende le misure con le lame della propria cesoia e successivamente ne trancia di netto lo stelo. 

La visione spaventosa di ciò che di orribile aveva commesso gli tornava di continuo dinanzi agli occhi come lo spezzone di un film dell’orrore sadicamente montato e ripetuto. Era una visione che stagnava nella sua mente come melma in una palude, e in quella palude i suoi pensieri si impantanavano finendo per uscirne sporcati irrimediabilmente. Oppure come dalle sabbie mobili ne venivano inghiottiti e trascinati sul fondale limaccioso della propria coscienza. Scosse il capo, autocompiacendosi. Subito dopo osservò il cliente più vicino a lui, temendo che potesse avere scorto il suo gesto. 

No: l'uomo stava fissando esclusivamente il proprio bicchiere, come a voler leggere nell’ambrato liquido ivi contenuto una verità ostinatamente cercata da tempo.

Tempo. Quanto ancora gliene restava? Ormai avevano di sicuro preso a cercarlo. Quanto ancora potevano metterci nel trovarlo?


Antonio Mecca

(continua domani stessa ora)

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