LA BAMBINA E IL SUO CARNEFICE 2
- 30 luglio 2020 Cultura
Discese la stradina che recava al porticciolo di quel paese chiamato Lesa, a metà strada tra Verbania e Arona, adagiato sulle tranquille e dolci acque del lago Maggiore come un gatto addormentato. A quell’ora di notte il porto era deserto, mentre la superficie del lago veniva appena increspata da una brezza leggera e illuminata dal riflesso di una luna tonda e pallida come la faccia esangue di una madre che assistendo all’agonia del figlio amato senza nulla poter fare assorbe dentro di sé i lineamenti facciali, come a voler escludere l’orrore che le sta di fronte, una faccia che si è già trasformata in teschio.
Pensò al volto di Francesca. Ne rivedeva i tratti delicati e al tempo stessi già sicuri, la traccia ben delineata di ciò che sarebbe stata da grande. La pelle era stata bianca e fresca, gli occhi invece scuri ma non profondi come quelli che una donna possiede, dove a guardarli ci si può perdere perché lei stessa è forse già perduta, ma ancora privi di quella esperienza che solo gli anni trascorsi sono in grado di fornire. La luce da loro emanata era il riflesso di ciò che fissavano depurato dal candore del proprio animo. Lui avrebbe voluto che lei restasse per sempre così: pura, vergine, anima candida e sensibile che aiuta i meno fortunati perché già adulti, e adulterati, a vivere meglio.