LA BAMBINA E IL SUO CARNEFICE 2

Finì di bere la sua birra, lentamente, gustandola con la voluttà che si prova verso le cose che senti di possedere per l’ultima volta. Avrebbe voluto ordinarne un’altra, non tanto perché ancora assetato, ma come per convincersi che ancora non era finita, che ancora viveva e che ancora poteva farcela.
Ma a cosa sarebbe servito? Ad affogare la realtà dei fatti? Solo affogando il proprio essere, la propria realtà personale, avrebbe potuto risolvere il problema. E poi, all’inferno! Avrebbe finito per chiedere, supplicare quasi: “Mi dà un’altra birra, per favore?”, usando quella dannata supplica da mendicante intento ad elemosinare la carità della gente, la pietosa considerazione del prossimo. Quasi non fosse stato invece un uomo di trent’anni che lavora e merita rispetto.
Rispetto. Dopo la tragedia di quel pomeriggio, il rispetto la gente avrebbe preferito rivolgerlo a un serpente velenoso piuttosto che a lui. Già, un serpente. Come un serpente che si avvolge nelle proprie spire, così lui si era sempre avvolto nelle proprie farneticazioni, rischiando di rimanerne stritolato, di soffocare sé stesso. Era stato il burattino creato appositamente per divertire gli altri con la propria goffaggine, con la propria insicurezza.
Cavò di tasca una banconota di piccolo taglio e la depositò sul ripiano del banco. Poi scivolò verso l’uscita con la silenziosità discreta di un’ombra che si distacchi da un essere umano che di umano è in procinto di non avere più nulla.
- Il resto! Non lo prendi?
La voce del barista lo richiamò alla realtà. Alla sua realtà. Gli si era rivolto dandogli del “tu”, come usavano fare tutti gli altri. Dimostrava infatti dieci anni di meno rispetto alla sua età, forse l’unica cosa di rispetto che possedesse. Senza fermarsi né rispondere proseguì fino alla porta, la spinse e venne risucchiato dalla notte viscida, che lo portò lontano da quel locale e da quel posto. L’aria del lago arrivò fino a lui, come il dolce alito di una ragazza innamorata. Come Francesca se avesse avuto il tempo di trasformarsi da bambina quale ancora era in ragazza e poi in donna. 
L’auto era parcheggiata lì vicino, e la voglia di salirci per fuggire chi lo sa per dove e chi lo sa per quanto, ma la rassegnazione finì per avere come sempre la meglio lasciandolo andare per la sua breve, brevissima strada. Si limitò a lanciare un ultimo sguardo alla vettura, uno sguardo di ringraziamento per quello che lei, fedele amica, aveva saputo dargli. Dentro di lei, solo con lei, si sentiva al sicuro, mentre viaggiava solitario ascoltando le musiche che più gli piacevano. Si illudeva allora di essere quasi forte, di essere quasi un duro, e questo gli procurava persino la convinzione che in futuro sarebbe cambiato a tal punto da ricordare con indulgenza il se stesso di un tempo.

Discese la stradina che recava al porticciolo di quel paese chiamato Lesa, a metà strada tra Verbania e Arona, adagiato sulle tranquille e dolci acque del lago Maggiore come un gatto addormentato. A quell’ora di notte il porto era deserto, mentre la superficie del lago veniva appena increspata da una brezza leggera e illuminata dal riflesso di una luna tonda e pallida come la faccia esangue di una madre che assistendo all’agonia del figlio amato senza nulla poter fare assorbe dentro di sé i lineamenti facciali, come a voler escludere l’orrore che le sta di fronte, una faccia che si è già trasformata in teschio. 

Pensò al volto di Francesca. Ne rivedeva i tratti delicati e al tempo stessi già sicuri, la traccia ben delineata di ciò che sarebbe stata da grande. La pelle era stata bianca e fresca, gli occhi invece scuri ma non profondi come quelli che una donna possiede, dove a guardarli ci si può perdere perché lei stessa è forse già perduta, ma ancora privi di quella esperienza che solo gli anni trascorsi sono in grado di fornire. La luce da loro emanata era il riflesso di ciò che fissavano depurato dal candore del proprio animo. Lui avrebbe voluto che lei restasse per sempre così: pura, vergine, anima candida e sensibile che aiuta i meno fortunati perché già adulti, e adulterati, a vivere meglio.

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