La mia prima volta a Milano
- 15 settembre 2021 Cultura
Sono approdato a Milano per la prima volta nel dicembre 1981. Fu in occasione del mio passaggio dalla piccola emittente televisiva Tele Nord Italia, sita nel piccolo paese di Castelletto Ticino, a Canale 5 sita nella grande città meneghina. Per tre mesi feci il pendolare da Verbania a Milano, mi alzavo alle cinque per poter prendere il treno delle sei e venti e tornavo a Verbania approdandovi alle 20,30, in quei tristi mesi non ebbi mai occasione di poter vedere la luce del giorno nella bella zona in cui ero nato e cresciuto. Poi, a metà febbraio 1982, mio padre mi trovò una stanza in affitto presso una famiglia di via Venini, in modo da arrivarci la sera di lunedì e ripartire la mattina del venerdì, prendendo il treno delle diciannove dopo essere uscito dal lavoro. Così ebbi più tempo per vedere e conoscere Milano, sebbene non si possa affermare di conoscere una città solo perché la si è veduta. Una città bisogna viverla, per poter dire di conoscerla, nonché vederla e rivederla in vari punti della sua topografia che uniti fra loro formeranno e firmeranno la figura che più la rappresenta. Io avevo preso l'abitudine di girare durante la bella stagione di sera, dopo aver lasciato la Tv alle 18,00. Qualche volta cenavo in un ristorantino, qualche volta in un altro, e fu in un modesto ristorante nei pressi di piazzale Loreto che ebbi modo di fare la conoscenza di Tom Hooker, il cantante noto per esibirsi sui pattini a rotelle, che in compagnia della sua fidanzata mi parlò della sua terra di origine: l'America, e del fatto che lì da loro la polizia era molto violenta, e si mangiava molto male. In seguito, dopo aver letto un libro di Edmund Wilson che raccoglieva i suoi articoli, avrei trovato l'elogio da parte sua della cucina italiana che si poteva apprezzare in qualche ristorante di New York, e del fatto che una buona cucina rappresenta anche la cultura di chi la sa cucinare.
Mi piaceva poi prendere la metropolitana, scendere in piazza Duomo o a in piazza Cairoli, e arrivare al magnifico castello Sforzesco la cui mole di pietre svettava sotto il cielo ancora azzurro o già nero velluto, con le stelle lontane simili a chiodi dorati pronti a crocifiggere tutti noi alla croce che ciascuno ha in dote fin dalla nascita. Si passava fra i prati verdi di erba del parco Sempione per giungere fino alla fontana dalle canne multipli che versano acqua sulfurea, e che tanto piaceva a Giuseppe Marotta da descriverla nel suo bellissimo "A Milano non fa freddo". Poi si occhieggiavano le prostitute in attesa di clienti, talvolta già sfatte, talaltra ancora giovani e belle, le famose "Ladies Night" decantate più che cantate da Kool and the Gang. Poi si faceva ritorno in via Venini, dove il portone in strada lo aprivo con la chiave datami in dotazione dalle proprietarie, una solida coppia di anziane sorelle zitelle, mentre la porta di casa erano loro stesse ad aprirle previo squillo di campanello, e questa era una delle ragioni per la quale evitavo di fare tardi. Oppure se non uscivo dopo avere cenato - spesso con dei panini - prendevo a scrivere: testi umoristici, magari meno appetitosi del cibo appena ingurgitato, o parti di romanzi polizieschi che avrei potuto immediatamente destinare al cestino della carta straccia ("Scrivo molto. Più che altro per il cesto della carta straccia", diceva di sé Chandler), visto il costante rifiuto da parte degli editori. E poi dritto a dormire in un letto della nonna, un giaciglio alto come si usava un tempo, munito di un materasso sul quale le mie ancor giovani ossa trovavano il giusto riposo. La mattina preferivo fare colazione nel bar di fronte, perché la cucina delle proprietarie era talmente incasinata, sporca e pregna di un odore per me nauseabondo da non indurmi certo a mangiare. Quando uscivo dal bar mi dirigevo alla fermata della metropolitana, e da lì a Milano Due, dove nel locale centro di produzione ebbi modo di lavorare come montatore o meglio: assemblatore di spot pubblicitari e di vedere: quando vi giungevo intorno alle nove, la ancor giovane Barbara Bouchet in tuta da ginnasta che saliva le scale per recarsi a correre intorno al laghetto dei Cigni oppure frequentare la palestra dell'adiacente Sporting Club, nonché la altrettanto bella Edvige Fenech in accappatoio pronta per girare lo spot di una famosa marca di caramelle, o alcuni ospiti del programma "Buongiorno Italia". E poi via, ad assemblare decine e decine di spot da inserire ogni dieci minuti nei programmi, per la gioia indiscutibile dei telespettatori!
Antonio Mecca