La questione degli insegnanti 4
- 09 settembre 2024 Cultura
Nella scuola lunga storia di immobilità e riforme mancate.
Nuovo anno scolastico, scuola nuova? Non pare.
L’altro padrone sono i Sindacati. Le cifre ufficiali degli iscritti da loro fornite sono assai variabili negli ultimi anni, non sono del tutto attendibili. È realistica la cifra della metà del corpo docente, diviso in CGIL-CISL-UIL e vari sindacati autonomi? Ciò che conta è che ai Sindacati la riforma della professione non interessa, muovendo dal totale rifiuto delle carriere e del differenziamento degli stipendi.
Nella visione del mondo dei sindacati regna l’egualitarismo assoluto; l’unica differenza teorizzata è l’anzianità. Più sei anziano, più guadagni. Amministrazione e Sindacati si oppongono alla definizione di un nuovo modello di docente. E la politica? È come l’intendenza: viene dietro all’Amministrazione e ai sindacati.
Per una Scuola nazionale di formazione dei docenti
Eppure, il profilo della professione docente adeguata al tempo presente non ha bisogno di raffinate elaborazioni. È già stato detto tutto, da molto tempo. In primo luogo, serve una Scuola nazionale di formazione degli insegnanti.
A questa aveva già pensato Napoleone con un decreto del 18 ottobre 1810 che istituiva una Scuola Normale, stabilita a Pisa – che faceva parte come l’intera Toscana dell’Impero francese fin dal 1807 – con il compito di formare insegnanti di scuola media superiore che educassero i cittadini secondo norme didattiche e metodologiche coerenti.
Che un laureato si trasformi in un docente, con capacità educative e didattiche adeguate, frequentando corsi universitari specializzati è una… leggenda interessata delle Università.
La formazione del futuro docente deve incominciare già dopo il terzo anno di Università, con periodi di apprendistato/tutorato nelle scuole. Il titolo finale di laurea deve essere la risultante del giudizio universitario e di quello delle scuole dove il laureando ha fatto esperienza, nel corso dei due anni finali della laurea magistrale. Le competenze educative e didattiche – la vocazione – si possono costruire e far emergere solo sul campo.
Non sono le Università, ma le scuole il terreno di formazione e di selezione dei docenti. L’esistenza di una Scuola nazionale di formazione dei docenti renderebbe inutili i concorsi nazionali, tanto amati da Cassese, la cui ratio “nazionale” consiste nella necessità di assicurare l’omogeneità, ma la cui inaffidabilità e inefficacia sono note.
Chi assume? La singola scuola autonoma. Senza questo potere di assunzione, l’autonomia educativa e didattica, di cui al Decreto n. 275 dell’8 marzo 1999, è ridotta a formula vuota.
E la carriera? Da qualche decennio vaga nell’aria la ragionevole proposta di tre step: iniziale, ordinario, esperto.
Parrebbe tutto molto semplice. Falso. Perché su questa faccenda si accumulano tutti i tic ideologici della Destra e della Sinistra.
Per la Destra contano la Nazione, la Patria. Peccato che, alla fine, questi due nobili lemmi si traducano in Stato burocratico-centralistico. Ne consegue una gestione del personale identica che vale allo stesso modo per la Scuola, per l’INPS, per i Ministeri… Per la Sinistra conta l’eguaglianza, in forza della quale nessuno – né discente né docente – può fare un passo in avanti, sennò crea diseguaglianza. Meglio che tutti stiano fermi. Eppure che nessuno sia lasciato indietro non è una buona ragione per cui tutti stiano fermi ad aspettare. Vale per gli alunni, vale per i loro insegnanti.
Il puzzle di tutti questi tic ideologici produce immobilità. E qui stiamo da qualche decennio.
E il discorso sulla riforma? Direbbe Shakespeare: “… un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente.”