“LA SCALA DELLA VITA” CHIUSO PER BUROCRAZIA?
- 28 marzo 2018 Cultura
La cultura nelle periferie è ben presente, per esempio con 109 Teatri professionali o amatoriali. Peraltro, sono un po’ lasciati al loro destino. Il caso del teatro “La Scala della Vita”, a rischio morte
Prima
il Teatro Ringhiera (230 posti) in Zona 5, poi il Teatro Caboto (220 posti) in
zona 7; adesso il Teatro La Scala della Vita (90 posti) in zona 4. In questi
ultimi mesi, non sembrano correre tempi particolarmente favorevoli per i teatri
milanesi “periferici” – realtà che conta 109 teatri – costretti a chiudere,
soprattutto per la necessità di adeguare gli impianti alle normative vigenti. Anche
se, di contro, dobbiamo registrare la rinascita del Teatro Guanella (364 posti)
in zona 8 e il teatro Maciachini in zona 9.
Si tratta di una situazione che, paradossalmente, diventa ancor più
problematica per quei teatri che hanno sede in edifici di proprietà pubblica
(edifici che, come noto, spesso rimangono abbandonati e inutilizzati). Invece,
dovrebbe essere riconosciuta la funzione sociale delle presenze culturali nella
nostra città e, in particolare, nelle periferie. Ma, questo richiede una visione
e una conseguente azione “sistemica”, che non c’è.
In merito, esemplare è la situazione in cui si è venuto a trovare il Teatro “La
Scala della Vita” di Via Piolti de Bianchi 47 (www.teatrolascaladellavita.it),
situato nell’ambito dell’area dell’Ospedale Macedonio Melloni, che ha una
storia tutta da raccontare. Infatti, già nei primi anni del ‘900, nei
sotterranei dell’allora Brefotrofio di Milano, fu creato il “teatrino del
sorriso” per allietare le giornate degli orfani. Dopo la guerra, l’orfanotrofio
chiuse e il teatrino venne dimenticato e ridotto a magazzino. Ma, nel 2003,
grazie a Guido Moro, primario del reparto di Neonatologia e Terapia intensiva,
e al contributo dei coniugi Alberto e Paola Anfossi, il teatrino venne
sottoposto a restauro conservativo e riprese l’attività con la direzione
artistica di Stefano Bernini, medico poi dedicatosi al teatro, divenendo così
l’espressione concreta dell’Ospedale Macedonio Melloni, che basa i propri
fondamenti sul concetto che “si cura il corpo con lo spirito e la mente”.
Tutto bene, allora? Non proprio. Lo scorso agosto, il teatro ha chiuso
improvvisamente i battenti e adesso è fermo tra carte burocratiche e rimpalli
di responsabilità. Stefano Bernini racconta che «in modo del tutto inaspettato,
la Città metropolitana di Milano (la ex Provincia), proprietaria degli spazi,
ha cambiato la serratura dell'ingresso, non consegnando le nuove chiavi ai
responsabili del teatro. Alle richieste di spiegazioni, l’invito fu di
rivolgersi all’Ospedale, al quale i locali sono affidati e che dal 2003 li
concede in comodato gratuito al Teatro». La risposta dell’Ospedale? «I locali
non sono a norma e quindi vanno tenuti chiusi», ciò malgrado il Teatro si sia
offerto di coprire i costi di ripristino. E qui siamo al “rimpallo”, evidenzia
Stefano Bernini: «L’Ospedale afferma che vuole restituire gli spazi alla Città
metropolitana di Milano, chiedendoci di liberarli degli arredi e di smantellare
anche la struttura del foyer all'ingresso», mentre la Città metropolitana di
Milano fa sapere che quando «gli spazi le saranno restituiti, deciderà se
riportare dentro il teatro». Insomma, un luogo di cultura e di coesione sociale
rischia di svuotarsi con sforzo e costo inutile, rischiando di non tornare più.
Invece, in questi quindici anni il cartellone degli spettacoli è stato vivace,
connotato socialmente per le attività a sostegno di adolescenti e bambini,
forte anche di un sodalizio con Agdp-Associazione genitori persone down e con
Icam-Istituto carcerario per mamme, nonché ricco di spettacoli di prosa per
adulti. Il luogo, soprattutto di sera e nei weekend, era anche punto di
riferimento per il quartiere, con il cineforum a ingresso gratuito.
Significativo anche l’apporto della Naba-Nuova Accademia delle Belle Arti, che
aveva deciso di offrire fondali e scenografie per ogni spettacolo. Ma, è
possibile che sia questo il destino di un teatro?
Giorgio Bacchiega
Cittadella della memoria-CPM