LE DUE CITTÀ - Charles Dickens
- 26 febbraio 2020 Cultura

Ogni mattina alle ore 08:00 proponiamo ai nostri lettori la parte iniziale e finale di un capolavoro della letteratura universale.
A cura di Antonella Di Vincenzo
INCIPIT
Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l'epoca della fede e l'epoca dell'incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell'altra parte — a farla breve, gli anni erano così simili ai nostri, che alcuni i quali li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo. Un re dalla grossa mandibola e una regina dall'aspetto volgare sedevano sul trono d'Inghilterra; un re dalla grossa mandibola e una regina dal leggiadro volto, sul trono di Francia. In entrambi i Paesi ai signori dalle riserve di Stato del pane e del pesce era chiaro più del cristallo che tutto in generale andava nel miglior ordine possibile e nel più duraturo assetto del mondo.
FINIS
«Veggo il bambino che le stava in grembo e che porterà il mio nome, diventar uomo, e farsi strada nel mondo nella stessa professione che una volta fu mia. Lo veggo arrivare vittorioso alla meta, e il mio nome, irradiato della luce del suo, mondarsi delle macchie di cui io l'aveva bruttato. Lo veggo ancora, o capo dei giudici giusti e degli uomini onorati, condurre in questo luogo un ragazzo dello stesso mio nome, con una fronte che io conosco e i capelli d'oro — questo luogo sarà allora bello da guardare, senza più le orribili tracce di oggi — e lo veggo narrare al bambino la mia storia, con tenera e tremola voce. «Quel che faccio è il meglio, di gran lungo il meglio che io abbia mai fatto; e il riposo che m'attende il più dolce, di gran lunga il più dolce che io m'abbia mai conosciuto».