Le trame intriganti di Maurizio De Giovanni ricche di uno stile personale

Maurizio De Giovanni, scrittore di storie poliziesche bravissimo e interessante, nel corso degli anni ha saputo costruire notevoli personaggi serviti da trame intriganti con in genere tre protagonisti: il commissario Ricciardi, i bastardi di Pizzofalcone, Mina Settembre. Anche nelle sue 56 storie brevi, nel libro "L'ultimo passo di tango, si può percorrere il suo excursus lavorativo ricavandone una soddisfazione dovuta alla trama e soprattutto allo stile, che lui: grande estimatore di Ed McBain, sembra comprensibilmente voler ripercorrere. Forse le impronte non combaciano alla perfezione con quelle lasciate dal Maestro del poliziesco americano, ma questo è più che comprensibile poiché: come affermava la mia amica Nicoletta Lamberti, ottima  traduttrice di McBain, "Sarà dura" uguagliarlo. Ma questo è più che comprensibile, datosi che a separare i due scrittori vi sono due epoche (McBain era del 1926, De Giovanni del 1958), e due diversi modus vivendi che poi si trasfondono in due diversi modus operandi. Ciò che conta, comunque, è che la scrittura sia bella e limpida, sebbene talvolta le trame molto limpide non sono. La lettura infatti di almeno due suoi racconti: "La moglie del mostro", e "Concerto per una gatta morta", lasciano perplessi. Ora, si sa: molti autori di gialli si ispirano a vicende realmente accadute, intessendo trame fantasiose che talvolta ripercorrono - magari senza volerlo - la realtà, talvolta imponendo la propria verità personale sulla realtà delle cose. Forse non si dovrebbero toccare certi tasti perché così facendo si rischia che a venirne fuori siano suoni stonati che infastidiscono non solo le orecchie ma anche la mente. Leggete, per meglio comprendere, i due racconti citati. L'ultimo ripropone l'omicidio di Perugia, dove una giovane e bella studentessa inglese: Meredith Kercher, verrà uccisa con ben 47 coltellate e della sua morte saranno accusati la sua convivente americana Amanda, il fidanzato italiano di questa Raffaele e un giovane nero di nome Rudy. L'accusa si concluderà in tribunale con una condanna di vari anni per i tre, e questa accusa verterà sulla violenza carnale. 
Lo scrittore napoletano invece ipotizzerà: pur cambiando i nomi nel suo racconto, che la ragazza inglese è stata uccisa perché aveva scoperto, all'interno della casa perugina, un grosso quantitativo di droga da vendere ai molti imbecilli che sono soliti rifornirsene. Ma lei aveva minacciato di parlarne ai genitori.
Ma è soprattutto il primo racconto: "La moglie del mostro", che si addentra ancora di più nella vicenda reale di Yara, la ragazzina viene adescata da un uomo che potrebbe esserle padre mediante delle chat e che dalla descrizione fattane non può che trattarsi di lei, e viene descritta persino con l'apparecchio per i denti che portava qualche anno prima. Dopo l'adescamento è la ragazzina a condurre il gioco, lusingata per il fatto che un uomo maturo (non certo di mente) sia interessato a lei e - quando la moglie scopre sul suo computer mediante una password ritrovata le parole del marito alla adolescente - per gelosia decide di andare a prenderla con il furgone del marito, portarla in un campo abbandonato e ucciderla per strangolamento. Nulla ci viene risparmiato della realtà: la giovane età, l'apparecchio dentale, il campo abbandonato, il furgone.
Ora ci si deve chiedere: è lecito che persone realmente esistite debbano fittiziamente rivivere sulle pagine di un romanzo o di un racconto per poi morire di nuovo, e questa volta sporcate dalla calunnia autoriale?
No, non è - non può essere - lecito. Perché: primo, dovrebbero perlomeno passare molti anni prima di affrontare determinati argomenti. Secondo: cosa ne sappiamo di quello che una adolescente ha fatto o non ha fatto, di come si è o non si è comportata?
D'accordo: non poche adolescenti attraversano la loro età problematica finendo per insozzarsi, ma questo non significa che a farlo siano tutte, né soprattutto che ci si debba permettere di fare ipotesi che finiranno per sporcare anche le innocenti. E allora, per favore, limitiamoci col giocare con la fantasia lasciando perdere la cronaca nera, che come il suo colore afferma è il contrario del bianco, del candore, del colore del giglio. Quei gigli che spesso adornano a torto o a ragione le statue spesso bellissime di sante martirizzate in giovanissima età.

Antonio Mecca

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