Life is unexpected - in ricordo di un amico
- 22 settembre 2019 Cultura

di Riccardo Rossetti
Coraggio.
Le dita tremano. Gli angoli della bocca sono increspati. Gli occhi lucidi mi impediscono di mettere bene a fuoco lo schermo. Una parte di me si rifiuta. Ma l’altra è consapevole che se non stendessi queste righe il rammarico non mi abbandonerebbe. Mai.
Tornato dall’estate, coloro che hanno letto Life is unexpected, sanno che una ventata di freschezza è stata in grado di farmi riassaporare i miei giorni. Non dirò se quella fresca brezza si sia già chetata o se ancora spiri; la felicità di quei momenti è, e rimarrà comunque, immobile nel tempo e nello spazio.
Nel frattempo, la vita a Milano è ricominciata: i vecchi amici sono stati rivisti, le tribolazioni del lavoro sono ricominciate e la settimana della moda ci sta togliendo, come sempre, l’ossigeno e il senno per vivere civilmente assieme.
Le dita tremano. Gli angoli della bocca sono increspati. Gli occhi lucidi mi impediscono di mettere bene a fuoco lo schermo. Una parte di me si rifiuta. Ma l’altra è consapevole che se non stendessi queste righe il rammarico non mi abbandonerebbe. Mai.
Tornato dall’estate, coloro che hanno letto Life is unexpected, sanno che una ventata di freschezza è stata in grado di farmi riassaporare i miei giorni. Non dirò se quella fresca brezza si sia già chetata o se ancora spiri; la felicità di quei momenti è, e rimarrà comunque, immobile nel tempo e nello spazio.
Nel frattempo, la vita a Milano è ricominciata: i vecchi amici sono stati rivisti, le tribolazioni del lavoro sono ricominciate e la settimana della moda ci sta togliendo, come sempre, l’ossigeno e il senno per vivere civilmente assieme.
Mi trovo davanti al computer quando il telefono squilla. Il fratello
di una mia vecchia fidanzata con il quale da ragazzo ho trascorso molti
anni nella storica compagnia del mare in Friuli- Venezia-Giulia. Strano;
i nostri contatti si limitano solitamente agli auguri per Natale e per
il compleanno.
Titubante rispondo. Nonostante la sua consueta cordialità la voce tradisce una certa concitazione. Dopo circa un paio di minuti di formalità giunge inesorabile il vero scopo della chiamata: “Flavio è morto”.
Rimango in silenzio e lentamente mi alzo in piedi. Prosegue informandomi che è caduto da una scala mentre lavorava ma che non sa nulla di preciso perché si dovranno attendere gli esiti dell’autopsia. Non è nemmeno in grado di dirmi quando sia accaduto perché a Torino, dove vive, arrivano poche e confuse notizie. Tento di darmi un tono e gli domando se per caso sappia qualcosa di più preciso sua sorella ma mi risponde che, per non ben specificate divergenze, sono due anni che non la sente. Ho la testa nel pallone: solo un mese fa la mia amica di Cervignano, Rebecca, mi ha mostrato una vecchia foto della compagnia; un gruppetto di scapestrati sedicenni che se la spassavano negli anni ’90. Io ero proprio accanto a Flavio.
In stato semi confusionale lo ringrazio per avermi informato e ci ripromettiamo di risentirci quando disporremo di notizie più precise.
Vago senza una meta per il mio appartamento, tentando di riordinare le idee dopodiché decido di ingoiare il rospo e chiamare la mia ex fidanzata; ci avevo già tentato tempo fa ma mi aveva sbattuto il telefono in faccia; a quanto pare, sei anni di separazione non erano ancora sufficienti per perdonarmi.
Quale cazzo era il numero? In un cassetto della memoria lo ritrovo. Dopo un paio di squilli, una dura e familiare voce mi risponde- “Ciao, sono Riccardo, ho sentito tuo fratello che mi detto di Flavio”. Un monocorde “si” è l’unica parola che ottengo in risposta. “Mi domandavo se sapessi qualcosa di più preciso o quando si terranno i funerali” - “No”. Termine della telefonata. Ho sempre compreso poco della natura umana ma ero convinto che di fronte al cordoglio per la scomparsa di un caro amico, la pietas e il dolore potessero, almeno per un momento, donare un approccio, se non umano, almeno civile. Evidentemente mi sbagliavo. Ma ora è chiaro come mai siano due anni che il fratello la evita.
Le ore seguenti sono un susseguirsi di telefonate che rimbalzano da Torino, Milano, Firenze, Trieste e altri piccoli paesi sparsi un po’ ovunque nel nord Italia. Eccetto Stefano e Rebecca, con i quali rimango sempre in contatto, risento amici che non sentivo da anni; qualcuno già lo sapeva, qualcun’altro rimane in silenzio come me poco prima.
Nessuno sa niente di preciso. Finalmente riesco a mettermi in contatto con Elisa, residente nei pressi di Milano ma originaria dello stesso paese di Flavio in Friuli; anche con lei è passata fin troppa acqua sotto i ponti ma siamo sempre andati d’accordo e, con la sua antica gentilezza, mi assicura di richiamarmi appena avrà notizie certe.
Sono in piedi. Immobile in mezzo del soggiorno. Una birra in una mano e una sigaretta nell’altra; un inno alla salute. Non riesco a pensare. O forse sono troppi i pensieri che si accatastano e mi impediscono di strutturare una logica coerente. Fanculo alla logica! Un altro sorso di birra.
Senza sforzo alcuno sono in grado di ricordare perfettamente la sua voce. La sento limpida e nitida mentre mi decanta i versi di Byron e Shelley che tanto amava. Una vita, quella di Flavio, davvero degna dei poeti inglesi della seconda generazione di romantici. Segnata dalla tragedia già in giovane età per perdita della madre; sregolata e assaporata senza mai il timore del domani; arresti domiciliari per droga; una sensibilità e un’empatia oggigiorno estinti; un libro di toccanti e delicate poesie; lavori sporadici in giro per l’Italia e, dalle ultime notizie giuntemi, una compagna e una figlia chissà dove.
La prima volta che lo incontrai avevo 15 anni ed era appena venuto fuori da una rissa con un occhio pesto. Da allora di risse ce ne furono parecchie; a volte le si dava. Quasi sempre le si prendeva. Adolescenti che sperimentavano la vita; eravamo circa una decina e siamo rimasti insieme, ogni estate, per quasi dieci anni.
Ma Flavio era diverso da tutti noi e per questo, talvolta, era vittima dei nostri scherzi e veniva preso in giro. Amava già la poesia e la letteratura quando noi altri pensavamo solo alle ragazze. Tuttavia non ha mai tentato di conformarsi e questo gliel’ho sempre invidiato. Anzi, sono convinto che il suo inconsapevole esempio mi abbia reso l’uomo che sono. Vorrei riabbracciarlo per poterlo ringraziare e parlare ancora assieme di libri e di emozioni ma dovrò aspettare per farlo.
Verso le 19:00 giungono altre telefonate ma sempre inconcludenti. C’è chi parla di una patologia pregressa che ha causato la caduta; chi cita un articolo su un giornale locale; chi di accertamenti medici e giudiziari. Chi di un funerale in forma privata per volere della famiglia. Siamo ancor al punto di partenza.
Finalmente, l’indomani arriva la conferma che le esequie si terranno a distanza di 24 ore nel suo paese di origine. E qui, si abbatte un su di noi, me compreso, un’indelebile vergogna. Nessuno vi parteciperà. Ognuno esprime la propria ragionevole motivazione: la distanza, il poco preavviso, il tempo trascorso da quando ci si vide l’ultima volta, il riserbo della famiglia, il lavoro. L’unica cosa certa è che tutte le puttanate che riteniamo importanti per le nostre esistenze ci faranno disertare in massa l’estremo saluto al nostro vecchio amico. Ma non c’è giustificazione che tenga e io riesco solo a pensare che se non verrà nessuno al mio funerale sarà equo.
Certo, quando tornerò in Friuli, la prima cosa che farò sarà di recarmi al cimitero per salutare il mio amico. Ma non è sufficiente. Non lo è per me.
Perdonami, Flavio. Da idiota quale sono, l’unica cosa che sono riuscito a fare è dedicarti queste righe. Ricordo che ti piaceva leggere e spero davvero che tollererai la mediocrità delle mie parole e la superficialità della mia anima.
Questa sera sentirò Mira. Le racconterò del mio amico e di quanto, senza saperlo, mi abbia condotto sulla mia strada attuale; di come abbia vissuto senza mai aver paura delle convenzioni sociali o delle conseguenze delle proprie azioni; di come non si sia mai preoccupato di noi, gente ordinaria, che tanto ci sentivamo superiori. Ma non la turberò o tedierò con il mio dolore. Dopotutto ha solo 21 anni e la vita per lei è ancora ampia come gli spazi siderali. Come lo era per noi quando avevamo la sua età. E la morte non era che una leggenda di cui avevamo solo sentito narrare, impossibilitata a raggiungerci.
Ogni giorno siamo ossessionati dal timore di perdere la vita; un arcaico e malsano retaggio cattolico che anche laicamente ci perseguita. Desideriamo vivere il più a lungo possibile e sopravvivere a chiunque. Quest’oggi ho compreso di desiderare l’opposto. Da grande egoista, non desidero dire addio ad altri amici. Perché la sofferenza è troppa. Perché preferisco andarmene prima piuttosto che rimanere l’ultima prova della mia esistenza. Perché l’unica vera paura meritevole di considerazione è una vita rimasta priva di affetti.
Life is unexpected.
Titubante rispondo. Nonostante la sua consueta cordialità la voce tradisce una certa concitazione. Dopo circa un paio di minuti di formalità giunge inesorabile il vero scopo della chiamata: “Flavio è morto”.
Rimango in silenzio e lentamente mi alzo in piedi. Prosegue informandomi che è caduto da una scala mentre lavorava ma che non sa nulla di preciso perché si dovranno attendere gli esiti dell’autopsia. Non è nemmeno in grado di dirmi quando sia accaduto perché a Torino, dove vive, arrivano poche e confuse notizie. Tento di darmi un tono e gli domando se per caso sappia qualcosa di più preciso sua sorella ma mi risponde che, per non ben specificate divergenze, sono due anni che non la sente. Ho la testa nel pallone: solo un mese fa la mia amica di Cervignano, Rebecca, mi ha mostrato una vecchia foto della compagnia; un gruppetto di scapestrati sedicenni che se la spassavano negli anni ’90. Io ero proprio accanto a Flavio.
In stato semi confusionale lo ringrazio per avermi informato e ci ripromettiamo di risentirci quando disporremo di notizie più precise.
Vago senza una meta per il mio appartamento, tentando di riordinare le idee dopodiché decido di ingoiare il rospo e chiamare la mia ex fidanzata; ci avevo già tentato tempo fa ma mi aveva sbattuto il telefono in faccia; a quanto pare, sei anni di separazione non erano ancora sufficienti per perdonarmi.
Quale cazzo era il numero? In un cassetto della memoria lo ritrovo. Dopo un paio di squilli, una dura e familiare voce mi risponde- “Ciao, sono Riccardo, ho sentito tuo fratello che mi detto di Flavio”. Un monocorde “si” è l’unica parola che ottengo in risposta. “Mi domandavo se sapessi qualcosa di più preciso o quando si terranno i funerali” - “No”. Termine della telefonata. Ho sempre compreso poco della natura umana ma ero convinto che di fronte al cordoglio per la scomparsa di un caro amico, la pietas e il dolore potessero, almeno per un momento, donare un approccio, se non umano, almeno civile. Evidentemente mi sbagliavo. Ma ora è chiaro come mai siano due anni che il fratello la evita.
Le ore seguenti sono un susseguirsi di telefonate che rimbalzano da Torino, Milano, Firenze, Trieste e altri piccoli paesi sparsi un po’ ovunque nel nord Italia. Eccetto Stefano e Rebecca, con i quali rimango sempre in contatto, risento amici che non sentivo da anni; qualcuno già lo sapeva, qualcun’altro rimane in silenzio come me poco prima.
Nessuno sa niente di preciso. Finalmente riesco a mettermi in contatto con Elisa, residente nei pressi di Milano ma originaria dello stesso paese di Flavio in Friuli; anche con lei è passata fin troppa acqua sotto i ponti ma siamo sempre andati d’accordo e, con la sua antica gentilezza, mi assicura di richiamarmi appena avrà notizie certe.
Sono in piedi. Immobile in mezzo del soggiorno. Una birra in una mano e una sigaretta nell’altra; un inno alla salute. Non riesco a pensare. O forse sono troppi i pensieri che si accatastano e mi impediscono di strutturare una logica coerente. Fanculo alla logica! Un altro sorso di birra.
Senza sforzo alcuno sono in grado di ricordare perfettamente la sua voce. La sento limpida e nitida mentre mi decanta i versi di Byron e Shelley che tanto amava. Una vita, quella di Flavio, davvero degna dei poeti inglesi della seconda generazione di romantici. Segnata dalla tragedia già in giovane età per perdita della madre; sregolata e assaporata senza mai il timore del domani; arresti domiciliari per droga; una sensibilità e un’empatia oggigiorno estinti; un libro di toccanti e delicate poesie; lavori sporadici in giro per l’Italia e, dalle ultime notizie giuntemi, una compagna e una figlia chissà dove.
La prima volta che lo incontrai avevo 15 anni ed era appena venuto fuori da una rissa con un occhio pesto. Da allora di risse ce ne furono parecchie; a volte le si dava. Quasi sempre le si prendeva. Adolescenti che sperimentavano la vita; eravamo circa una decina e siamo rimasti insieme, ogni estate, per quasi dieci anni.
Ma Flavio era diverso da tutti noi e per questo, talvolta, era vittima dei nostri scherzi e veniva preso in giro. Amava già la poesia e la letteratura quando noi altri pensavamo solo alle ragazze. Tuttavia non ha mai tentato di conformarsi e questo gliel’ho sempre invidiato. Anzi, sono convinto che il suo inconsapevole esempio mi abbia reso l’uomo che sono. Vorrei riabbracciarlo per poterlo ringraziare e parlare ancora assieme di libri e di emozioni ma dovrò aspettare per farlo.
Verso le 19:00 giungono altre telefonate ma sempre inconcludenti. C’è chi parla di una patologia pregressa che ha causato la caduta; chi cita un articolo su un giornale locale; chi di accertamenti medici e giudiziari. Chi di un funerale in forma privata per volere della famiglia. Siamo ancor al punto di partenza.
Finalmente, l’indomani arriva la conferma che le esequie si terranno a distanza di 24 ore nel suo paese di origine. E qui, si abbatte un su di noi, me compreso, un’indelebile vergogna. Nessuno vi parteciperà. Ognuno esprime la propria ragionevole motivazione: la distanza, il poco preavviso, il tempo trascorso da quando ci si vide l’ultima volta, il riserbo della famiglia, il lavoro. L’unica cosa certa è che tutte le puttanate che riteniamo importanti per le nostre esistenze ci faranno disertare in massa l’estremo saluto al nostro vecchio amico. Ma non c’è giustificazione che tenga e io riesco solo a pensare che se non verrà nessuno al mio funerale sarà equo.
Certo, quando tornerò in Friuli, la prima cosa che farò sarà di recarmi al cimitero per salutare il mio amico. Ma non è sufficiente. Non lo è per me.
Perdonami, Flavio. Da idiota quale sono, l’unica cosa che sono riuscito a fare è dedicarti queste righe. Ricordo che ti piaceva leggere e spero davvero che tollererai la mediocrità delle mie parole e la superficialità della mia anima.
Questa sera sentirò Mira. Le racconterò del mio amico e di quanto, senza saperlo, mi abbia condotto sulla mia strada attuale; di come abbia vissuto senza mai aver paura delle convenzioni sociali o delle conseguenze delle proprie azioni; di come non si sia mai preoccupato di noi, gente ordinaria, che tanto ci sentivamo superiori. Ma non la turberò o tedierò con il mio dolore. Dopotutto ha solo 21 anni e la vita per lei è ancora ampia come gli spazi siderali. Come lo era per noi quando avevamo la sua età. E la morte non era che una leggenda di cui avevamo solo sentito narrare, impossibilitata a raggiungerci.
Ogni giorno siamo ossessionati dal timore di perdere la vita; un arcaico e malsano retaggio cattolico che anche laicamente ci perseguita. Desideriamo vivere il più a lungo possibile e sopravvivere a chiunque. Quest’oggi ho compreso di desiderare l’opposto. Da grande egoista, non desidero dire addio ad altri amici. Perché la sofferenza è troppa. Perché preferisco andarmene prima piuttosto che rimanere l’ultima prova della mia esistenza. Perché l’unica vera paura meritevole di considerazione è una vita rimasta priva di affetti.
Life is unexpected.