MILANO: CITTÀ DI ARRIVO O DI PARTENZA?

La prima volta che approdai a Milano in auto fu nella seconda metà degli anni Sessanta, al volante mio padre con a fianco mia mamma e con me sul sedile posteriore mio fratello. Saliti sulla nostra 850 bianca. partimmo da Verbania la mattina presto diretti nella grande città del Nord. Appena imboccata l'autostrada a Sesto Calende, papà cominciava a diventare nervoso, un nervosismo che andava accentuandosi quando, lasciata l'autostrada, entrammo nel capoluogo lombardo. Le strade sempre più trafficate, gli automezzi sempre più strombazzanti, i mezzi pubblici strapieni ci passavano accanto e noi poveri provinciali, abituati a strade tranquille e a paesi piccoli dove l'esistenza trascorreva serena, ci sentivamo in difficoltà. 
Anch'io ero teso, ma non per motivi contingenti il traffico bensì per le aspettative che mi affascinavano e sapevo che di lì a poco sarebbero state appagate. MI entusiasmavano i cartelloni che pubblicizzavano i film appena usciti o di imminente programmazione. Manifesti in grandi dimensioni dove illustratori bravissimi ritraevano gli attori e le attrici noti o meno noti, uomini affascinanti, donne bellissime in pose seducenti o attanagliate dalla paura. Gli uomini spesso impugnavano una pistola o un fucile, perché quella era l'epoca dei western all'italiana, un genere da me prediletto dove si poteva vedere nel disegno proposto una o più scene tratte dal film in questione, e spesso nel titolo la parola "dollaro", "Colt", "massacro"
"Non si può proprio più andare al cinema", brontolava mio padre, che aborriva le armi e considerava i film di cow boys una stupidaggine. Preferiva le stupidaggini di Franco e Ciccio o la vivacità e simpatia di Alberto Sordi oppure la vivacità e la recitazione di Vittorio Gassman. Io no: io preferivo la vivacità di questi film, soprattutto western, soprattutto western italiani. A stimolare la fantasia erano gli artisti che mettendo mano al pennello sapevano fornire scene che parevano schizzare dai manifesti a pieni colori, rendendo la realtà meno grigia.
Questi pittori avevano i nomi di Franco Picchioni, Renato Casaro, Giorgio Olivetti, Rodolfo Gasparri. Disegnatori dal talento meraviglioso, che infondevano anche a film mediocri un'aura di fascino che a seconda di chi ne usufruiva: il ragazzino adolescente o l'uomo e la donna adulti, ai primi davano da sognare per via delle scene proposte e delle donne che si proponevano, i secondi meditavano invece con maggiore consapevolezza: quella derivante dal vivere un'esistenza mediocre ma - anche - più rassicurante. 
Finalmente, dopo avere anche sbagliato strada e avere richiesto informazioni a destra e a manca su dove la località di Greco si trovasse, riuscimmo a giungere a destinazione di fronte la piazzetta del paese inglobato dalla città dove i nostri zii e i loro figli abitavano dagli anni Quaranta. Lì pranzavamo tutti insieme - ad eccezione talvolta dei cugini se impegnati al lavoro - e io avevo così modo di rivedere la piccola casa: un bilocale, che mi aveva ospitato nella seconda metà del 1958, quando per alleviare mia madre la quale era incinta del secondo figlio ero stato ospitato a Milano dalla zia per un mese. L'odore di quel vecchio condominio mi penetrava nelle narici; non era un odore sgradevole, bensì particolare. In esso si mescolavano gli odori provenienti dall'esterno, i quali erano composti di smog, benzina bruciata, legna da ardere. Mio zio era un uomo originario della Basilicata, come la moglie, sempre provvisto di grande appetito e che sapeva fare onore alla tavola. Mia zia era una brava donna di casa, la quale si era dedicata alla famiglia con abnegazione. Quando poi nel pomeriggio riprendevamo l'auto e con essa la via di casa, io avevo modo di rivedere i cartelloni visti all'andata o altri che mi ero perso o che - visto che come al solito si era perso mio padre nel percorrere le strade - di vederne di nuovi.
E così di sognare a occhi aperti nuovamente. Se poi nel tramonto c'era il sole, un sole arancione il cui colore dipendeva anche dallo smog presente nell'aria, il cuore batteva più forte perché più forte era l'emozione procurata. L'emozione di una vita ancora tutta da svolgere, come un manifesto arrotolato, l'eccitazione per un futuro che speravo foriero di buone cose. E se un aereo passava nel cielo lasciando una scia bianca come gesso, il tutto sembrava un segno prodotto sulla lavagna: la lavagna sulla quale scrivere il proprio avvenire ancora tutto da vivere. 
Antonio Mecca

L'INGLESE CANTANDO

Milano in Giallo

di Albertina Fancetti, Franco Mercoli, Alighiero Nonnis, Mario Pace
EDB Edizioni

Com'è bella Milano

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