Perché consigliare "In guerra per amore"
- 07 novembre 2016 Cultura
Ancora una volta Pif fa riflettere lo spettatore sul problema della mafia con una storia dolceamara, divertente e delicata.
Arturo Giammarresi è un giovane siciliano trapiantato a New York; per conquistare la sua amata Flora si arruola nell’esercito statunitense e partecipa allo sbarco in Sicilia nel 1943. Grazie al suo ufficiale in comando, si renderà conto che l’arrivo degli Alleati nell’Isola ha spianato la strada alla mafia.
Prendendo spunto da un evento realmente accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, Pif realizza una commedia dolceamara, vivace e intelligente, che - pur essendo a tratti meno efficace del suo precedente film “La mafia uccide solo d’estate” - ha il coraggio di provocare lo spettatore a riflettere e il pregio di farlo mentre lo intrattiene. Gran parte del fascino sta nell’ambientazione storica: il film ricostruisce bene l’atmosfera di quegli anni, senza però avere la pretesa di trasformarsi in un film di guerra. Come nella precedente opera di Pif, la storia ruota attorno all’imbranato protagonista e alle sue divertenti disavventure amorose, ma il vero tema è la capillarità della presenza mafiosa in Sicilia (e, in questo caso, la sua affermazione nelle posizioni di potere). La riflessione sulla mafia beneficia dell’incisività tipica di Pif (già dimostrata ai tempi de “Il testimone”), e i nomi dei protagonisti sono gli stessi de “La mafia uccide solo d’estate”, così che i due film compongono una sorta di cronaca del problema mafioso in Sicilia.
La sceneggiatura si sofferma in maniera delicata anche su tematiche come l’amore famigliare (e non solo romantico), l’orgoglio nazionale e il senso di giustizia, soprattutto grazie al personaggio ben costruito del tenente Catelli, che funge da bussola morale per gli spettatori e per il protagonista. Il film può essere visto anche come un film di formazione: il protagonista, infatti, impara ad agire per il bene comune e non solo seguendo un percorso egoisticamente concentrato sui suoi problemi personali. L’amaro finale, in particolare, suggella il cambiamento del protagonista e quello della Sicilia allo stesso tempo, non senza criticare chi non ha agito quando sarebbe stato opportuno. Ancora una volta, quindi, Pif offre allo spettatore l’opportunità di riflettere sorridendo (e commuovendosi): un altro tassello del suo racconto sulla mafia, si spera il secondo di tanti.
Deborah Lepri