RACCONTO DELLA DOMENICA

"LIBERTÀ"

di Beatrice Barbieri.

"Attento a ciò che desideri perché potresti ottenerlo".

Se avessi saputo leggere e scrivere e se fossi nato dopo di lui, l'aforisma di Oscar Wilde continuerebbe a risuonarmi in testa e ogni volta maledirei la mia buona sorte...

Non mi ero reso conto di come la mia condizione fosse privilegiata pur nel suo obbrobrio.

Avevo cibo. Non abbondante ma garantito e sufficiente a darmi le forze per fare il lavoro cui ero destinato. Un ricovero sicuro proteggeva dal freddo e dalla pioggia il sonno che riparava le mie energie debilitate.

Certo, non potevo andare dove volevo. Dovevo lavorare e duramente, per padroni che non conoscevo ma che imponevano con la forza il loro predominio.

E per tutto questo anelavo la libertà.  

Non sapendo bene cosa comportasse la libertà. Ma aveva un suono così bello questa parola. Suggeriva panorami vasti e movimenti incondizionati. Il sogno ha sempre un sapore dolce.

Nessuno sapeva spiegarmi cosa esattamente comportasse la libertà. Nessuno dei miei coetanei più prossimi l'aveva sperimentata. Era una leggenda di cui si parlava sottovoce.

E quindi era all'apice dei miei sogni e desideri.

Un giorno però, io e i miei numerosi compagni di sventura, invece di essere convogliati come al solito sui campi, fummo imbarcati su grandi navi. 

Ci riportarono nelle terre da cui avevano sottratto i nostri padri per portarli oltre l'oceano, a lavorare terre altrui, schiavi.

Fautori di una visione libertaria all'avanguardia, un manipolo di notabili influenti ci riportarono nei territori antichi e ci dissero che eravamo liberi. Avremmo potuto riconquistare i nostri spazi 

e la nostra autonomia. Non ci dettero nè spiegarono quali strumenti ci avrebbero aiutati a realizzare questo progetto.

Se ne tornarono al di là dell'oceano, loro.

Ora sono qui, libero, senza mezzi nè cultura per gestire questa libertà. Circondato da altri individui spaesati che, come animali reimmessi in natura dopo un periodo di osservazione in riserva,

ancorché teso al loro salvataggio, si guardano intorno per valutare la nuova situazione. Senza sapere dove andare e come sarebbero sopravvissuti. La fame è più pressante e feroce di quella conosciuta al di là dell'oceano. Là sapevo che, comunque, la 

mera sopravvivenza era assicurata. Qui  il nulla, spaventoso nella sua apparente non pericolosità,  spinge a gesti estremi di sopravvivenza.

È questa la libertà?

Mi ritrovo qui, ora, padrone di me stesso. Apparentemente.

Ma non so cosa farmene di questa libertà.

Vorrei sedermi sulla riva di questo grande mare al cui orizzonte tramonta il sole verso le terre che ci hanno fatto lasciare.

La risacca canta un ritornello ipnotico, ma è il borbottio dello stomaco a farmi alzare e affrontare la barriera verde che fronteggia il litorale.

Non c'è mensa approntata, né capanne per chiudere fuori il buio e il vento.

Prendo un ramo caduto per bacchiare dei frutti che vedo tra le fronde alte. Ma il ramo è corto. I piedi nudi spingono allora le mani in una scalata faticosa, ma riesco a far cadere qualcosa ai miei compagni che in basso mi guardano ansiosi e che arraffano il raccolto senza aspettarmi. E allora il mio ramo si trasforma in bastone per

La prevaricazione nella libertà, che si perpetua giorno dopo giorno soprattutto quando incrociamo i legittimi abitanti di questi lidi.

Non parliamo la stessa lingua e i gesti si fanno quasi subito violenti. La curiosità reciproca diventa

Dobbiamo sopraffare i derelitti locali, sfrattarli dai loro luoghi nativi.

Uccidere, massacrare, dissacrare, uomini, donne, bambini, luoghi e costumi antichi, questi i verbi per coniugare il futuro. 

Ridurli a quella schiavitù da cui noi eravamo stati liberati. 

L'unico tipo di organizzazione sociale a noi noto.

Se ne riproduce la perversione, le caratteristiche più abiette.

A questo porta la libertà?

La libertà ha un cattivo gusto e lascia un retrogusto amaro se vuol dire abbandono, incuria, sopraffazione.

È questo il suo sapore?

Questa è una storia vera. Quella della nascita di uno stato africano creato come utopia di un mondo nuovo, che ha dimostrato come al pensiero illuminato deve fare da supporto una programmazione ferrea, concreta. L'ignoranza induce a riproporre l'unico schema conosciuto in cui gli ex paria saranno i padroni dei nuovi oppressi.

Senza queste premesse si riproduce l'unico modello assimilato, perverso, per cui lo schiavo liberato diventa schiavista forse anche più feroce del proprio. Spingendo prima alla fuga e poi alla rivolta i nuovi derelitti in un girone infernale. 

La nascita della Liberia non fondò un nuovo stato teso alla creazione di un mondo nuovo, ma perpetuò uno status quo in un paese impreparato alla libertà. 

Da cui ancor oggi la fuga è l'unica via di speranza.   




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