TRASFERTA ITALIANA 5
- 05 dicembre 2021 Cultura

Iniziai il mio turno, come prestabilito,
alle sette del mattino, rilevando il posto occupato da Solmi. Il tassista mi
lasciò vicino all'auto del mio collega, che sedeva dietro al volante.
- Novità? – gli chiesi.
- Non è più uscita. Tu hai avuto modo di riposare?
- Sì. Prima ho fatto una passeggiata lungo corso Buenos Aires,
che è davvero un bel viale, e ho quindi mangiato una pizza in un locale di una
via trasversale. Poi ho fatto ritorno in hotel, e dopo una doccia tonificante
ho abbracciato cuscino e lenzuola in mancanza di meglio consegnandomi alle cure
di Morfeo. Ho fatto un sonno unico, e ora eccomi qui, pronto a entrare in
azione.
- Mentre io ad andarmene a casa, a dormire. Ci vediamo intorno
alle sette di stasera. Se nel frattempo succede qualcosa, non mancare di
avvisarmi.
Ci salutammo; io andai ad occupare il posto da lui lasciato
vacante dietro al volante.
Fare un appostamento è cosa che sarà anche buona e giusta, nel
nostro lavoro, ma non altrettanto sacra come nella preghiera omonima. Per cui
passai il tempo leggendo gli ultimi capitoli di “The long Good-by”, e recandomi
a orinare quando ne sentivo il bisogno. Vania uscì poco prima di mezzogiorno,
salendo a bordo di una piccola auto. La seguii con discrezione, avendo cura di
frapporre fra lei e me un’altra auto. Attraversammo piazza Udine e percorremmo
poi via Casoretto, che portava in piazzale Loreto. Poi imboccammo il corso
Buenos Aires, percorrendolo tutto fino a un incrocio attraversato il quale si
trovava corso Venezia. Fu qui che la ragazza fermò l’auto, parcheggiandola in
un posteggio a pagamento. E fu qui che raggiunto a piedi un ristorante vi
entrò. Parcheggiai a mia volta in un posteggio vicino per poi fare il mio
ingresso un cinque minuti dopo che la ragazza era entrata.
La sala, non molto ampia, era arredata in stile rustico,
riproducendo l'interno di una di quelle osterie in voga cento anni prima.
Tavolini ricoperti con tovaglie a scacchi bianchi e rossi, pareti di legno
scuro comprendenti quadri riproducenti scorci di natura, pavimenti in mattoni
color rosso pompeiano come il riverbero del Vesuvio in eruzione, soffitto di
legno come le pareti ma chiaro. La ragazza, Vania, sedeva sola, davanti a sé un
bicchiere di acqua minerale. Notai che il posto a lei di fronte non era stato
liberato di bicchieri, posate e tovagliolo. Evidentemente doveva essere in
attesa di qualcuno. Una cameriera mi si avvicinò, sorridendo invitante. Mi
elencò alcune delle pietanze che avrebbero potuto interessarmi e delle quali
compresi solo in parte il significato. Poi quando ebbe capito che ero straniero
si decise a porgermi un menu con le scritte in inglese, così che potei
individuare il piatto a me più gradito: una spaghettata al pomodoro e basilico,
accompagnata da un calice di vino rosso. Nel frattempo la ragazza da me seguita
aveva attaccato una pizza ai frutti di mare, della quale si cibava con placida
lentezza. Poi la porta del locale si aprì e un uomo fece la sua apparizione,
andando direttamente al tavolo di Vania, dove sedette frontalmente alla
ragazza.
Lo osservai con attenzione.Un uomo ancora giovane; dimostrava
non più di quarant’anni. Era attraente, bei lineamenti facciali posti sopra un
fisico di buone proporzioni. Vestiva bene, in maniera informale come si usa al
giorno d'oggi, con giubbotto in pelle e pantaloni di stoffa marrone. Ai piedi
mocassini marroni anch'essi, di lucida pelle. Trovandomi a due soli tavolini di
distanza speravo di riuscire a cogliere qualcuna delle parole che i due si
sarebbero scambiate. Mi riuscì innanzitutto di sentire la lingua che parlavano:
russo chiaramente, ma non altrettanto chiaro mi era il significato.
Scattai con cautela alcune foto con lo smartphone, fingendo di
stare digitando un numero telefonico.
L’uomo ordinò a sua volta una pizza, in un italiano dall'accento
sovietico così intenso che pareva di vedere materializzata la vecchia bandiera
con falce e martello. Io pagai il conto con la carta di credito e uscii.
Antonio Mecca