TRASFERTA ITALIANA 9

Dopo avere concesso uno sguardo di insieme alla mia camera, replica fedele di quella sottostante occupata da Vania che di certo fedele non era stata, decisi di scendere e uscire dall'hotel. Al banco della reception non si trovava nessuno; si percepiva un fragore di stoviglie provenire da quella che doveva essere la sala da pranzo, e qualche parola. Lasciai la chiave della mia camera sul banco e uscii. Svoltai a sinistra, a destra la strada era chiusa. Vicolo cieco, come il titolo dell’ultimo romanzo di Spillane con Mike Hammer, e come quell’indagine ancora era per me. Rimasi lì per un certo tempo, due ore forse, per poi finalmente vedere profilarsi Vania vestita dell'abito da prostituta che avevo avuto modo di notare all'interno del suo bagaglio. Mi spostai dalla direzione del suo sguardo, perché stava dirigendosi là dove mi ero appostato. La donna sbucò sulla strada e svoltò alla sua destra. Si incamminò sotto gli alberi fino a un bivio stradale, dopodiché si fermò. Puntai con accortezza l'obiettivo della videocamera su di lei, zoomai sulla sua bella figura che non avrebbe fatto sfigurare nessun uomo a lei accanto e scattai alcune foto. Quindi sopraggiunse un’auto che fermatasi accanto aspettò che si chinasse sul finestrino dalla parte del guidatore e scambiasse con lui alcune parole. Io nel frattempo ne approfittai per scattare alcune foto che comprendevano sia l'uomo al volante sia la targa della sua auto, una macchina italiana di medie dimensioni color vinaccia. La donna salì accanto al guidatore e l’auto ripartì. Mi affrettai verso un'auto che stava sopraggiungendo brandendo il mio distintivo di poliziotto privato e sperando che il guidatore non ci facesse caso. L'auto si fermò. Io accorsi accanto all'autista esclamando:

- Polizia! Per favore, segua quell'auto!

L’uomo: un individuo non più giovane ma non ancora anziano, mi fece posto accanto a lui con un'espressione preoccupata sul viso, a tenere compagnia alle non poche rughe che già vi si trovavano.

- L'auto è quella color vino – specificai.

- Cosa succede? – si preoccupò lui.

- Se mai, cosa succederà – precisai. – Ma probabilmente lei per allora sarà già tornato a casa o dove s  stava dirigendo. 

La macchina sulla quale Vania era salita sembrava puntare in città; riconobbi lo stesso viale alberato percorso in mattinata, le stesse ville in pietra di notevole bellezza, il grattacielo squadrato che alla sua estremità si stagliava ritto al cielo come una sbarra traforata dalle tante finestre che lo costellavano, una sorta di grosso rilevatore di temperatura che succhiava dal cielo la luce esterna. Prima di giungere al semaforo svoltò a destra, in una via fiancheggiata di palazzine moderne – perlomeno lo erano state all'epoca nella quale vennero edificate. L'auto davanti a noi si fermò.

- Stop Here! – intimai al mio autista, che obbedì. Vidi da lontano l'uomo e la ragazza scendere dall'auto, fermatasi in un posto delimitato da spazi tracciati con la vernice, per poi dirigersi verso l'ingresso di una 

villetta a due piani.

- Okay – dissi all'autista. – Può andare. Grazie per il passaggio.

Quello non se lo fece ripetere e si affrettò a togliersi dalla visuale. Io feci una ripresa dell’auto nel parcheggio, della via e della villetta. Poi mi avvicinai alla macchina dove fino a pochi istanti prima si erano trovati a bordo i due da me seguiti. Era una Fiat con sulla targa riportato l'anno di uscita: 2019, limitato alle ultime due cifre. Il cancello della villetta era chiuso. Sulle targhette sopra le quali erano trascritti i nomi degli inquilini nessun nominativo era di etnia straniera. Tolsi di tasca lo smartphone per fotografare la schermata dei campanelli. Conclusa l’operazione mi avvicinai alla parte laterale della casa, dove una finestra inquadrava – seppure velata da una tenda – quello che doveva essere un soggiorno.

I due si trovavano lì. Intravidi la ragazza sfogliare alcune carte, dopodiché porgere all'uomo carte più piccole ma forse di valore più grande perché si trattava di banconote. Quindi avvenuto lo scambio di fogli dei quali non sapevo quali essere fra loro i più preziosi, notando che i due si stavano separando mi spostai verso il retro della casa. Ma un tale dall'aspetto poco rassicurante era fermo lì nei pressi, in pugno una pistola automatica di colore scuro. Mi sembrò essere il compagno di Vania al ristorante milanese. 

- Stavi ficcanasando, vero? – disse con voce scura come la sua pistola. – Vieni, entriamo in casa, così potrai vederci meglio.

Lo precedetti perché altro non mi era possibile fare. La porta si aprì, e la ragazza mi vide e lo vide.

- Hans! Chi è costui? – chiese in italiano.

- Uno spione – la informò lui nella stessa lingua. – Hai ottenuto il tutto?

 

Antonio Mecca

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