TRASFERTA ITALIANA 11
- 20 dicembre 2021 Cultura

Dopo avere tentato più volte di mettermi
in comunicazione con Frank avevo deciso di salire in auto per dirigermi a
Rimini il più rapidamente possibile. Erano circa le quattro del pomeriggio
quando partii, e all’incirca le sei quando arrivai. L'hotel Parigi lo trovai
dopo essere uscito a Rimini Nord e imboccato la strada cittadina che portava al
centro perimetrando tra le mura del vecchio castello. Da lì affiancai il canale
che si immette in mare per poi giungere al Grand Hotel reso famoso da Fellini.
A destra imboccai il viale che arriva fino a Miramare ma che di lì a poche
centinaia di metri conduce in una via chiusa alla sua estremità, proprio dove
l’albergo Parigi era situato. Fermai l’auto di fronte ed entrai. Un uomo non
più giovane, ma non ancora vecchio vegetava dietro il banco come una pianta
dietro il vetro di una serra. Mi osservò entrare con sguardo vacuo quanto
quello di uno scorfano pescato il giorno prima.
- Il signor Stevens – gli chiesi. – È rientrato?
Scosse il capo negativamente, senza rispondere.
Mi avvicinai al banco e ripetei, sillabando quasi: - Ho chiesto
se è rientrato.
- E io ho già risposto di no.
Lo afferrai per la camicia avvicinandolo a me, a pochi
centimetri dalla mia faccia.
- E tu devi rispondere con la voce che il Padreterno ti ha dato,
prima che al Padreterno tu faccia ritorno, presto o tardi, dipende soprattutto
da te.
- Io non l'ho visto – rispose lui con voce affannata. – Del
resto, la chiave della sua camera è ancora qua - e così dicendo indicò la
rastrelliera alle sue spalle.
- E quella di Vania, la ragazza della camera 34?
Ancora una volta si girò per osservare la rastrelliera.
- È qui – disse. – Ma lei era già rientrata, chiedendo di
prepararle il conto perché costretta ad andarsene in anticipo di sette giorni
per cause gravi inerenti la famiglia. È salita in camera, dopo poco ha fatto
ritorno con il suo bagaglio. Ha pagato il conto e mi ha chiesto anche di
chiamarle un taxi. Annuii, più a me stesso che non a lui. Poi dissi:
- Vania come si chiama di cognome?
- Titova – rispose evitando di guardare sul registro degli
ingressi.
- Non era la prima volta che veniva da voi…
- No – confermò lui. – Perlomeno cinque o sei.
- E qui a Rimini ci veniva in vacanza o per lavoro? Ebbe un
mezzo sorriso, che precedette una mezza risposta.
- Chiamiamolo lavoro.
- Perché? Come lo si dovrebbe chiamare?
Visto che non rispondeva lui, risposi io. - Prostituzione,
forse? Veniva a Rimini per svolgere il suo lavoro di battona, vero? Poi verso
che ora faceva ritorno? E quanti giorni usava trattenersi, di volta in volta?
Lui non si fece pregare, e così rispose, partendo a ritroso
dalle domande.
- Restava circa due settimane, qualche volta tre. In quanto
all'ora nella quale rientrava in albergo, era più o meno alle tre-le quattro
del mattino.
- E ci tornava da sola o qualche volta accompagnata?
- Questo è un albergo serio – rispose lui offeso.
- Serio perché forse serioso; sebbene serioso non voglia dire
serio. E mi dica: conosce l'hotel nel quale la donna usava portarsi i clienti?
- Non usavo ricevere le sue confidenze.
- Forse perché non osava chiedergliele – replicai. – Ma di
qualcuno di questi alberghi ne conoscerà il nome e l’ubicazione, immagino…
Ebbe un attimo di esitazione, che poi riempì con una risposta
che comprendeva i nomi di una mezza dozzina di hotel situati a non grande
distanza da lì. Me li segnai su un bloc-notes e lasciai così albergo e
albergatori
Antonio Mecca