UNA STORIA METROPOLITANA
- 04 giugno 2020 Cultura
Di Albertina Fancetti
Puntata tre
La scuola era finita ed erano arrivate le tanto sospirate vacanze, Martina e Monica erano state promosse, la prima con esito sufficiente, la seconda con esito discreto. Tutti i pomeriggi le due ragazzine si recavano ai giardinetti, cercavano di mettersi a sedere di fronte alla “Panchina dei Drogati” per avere una visuale migliore della situazione. Sabina arrivava dopo circa un’ora, seduta sul motorino dello spacciatore che sembrava proprio essere il suo ragazzo e lo baciava appassionatamente. Monica era disgustata e ossessionata da tutta la faccenda.
«Chissà se ci va anche a letto con quel tipo? A me piacerebbe di più quello con i capelli ricci se non fosse un drogato».
«A me non piacciono» rispondeva Martina turbata.
Un ragazzo arrivò pedalando su una vecchia bicicletta, si fermò alla panchina dove stavano sedute le due ragazzine.
«Buona sera belle signorine!» le salutò con spavalderia.
«Buona sera belle signorine!» le salutò con spavalderia.
«Ciao!» rispose Martina, mentre Monica taceva osservandolo con aria seccata.
«Io mi chiamo Michele e tu?» proseguì il ragazzo imperturbabile.
«Io sono Martina» rispose la ragazza. Questa volta fu Monica a tirarle una gomitata nel fianco.
«Ma come ti viene in mente di dare confidenza a quel ragazzo! Non sai nemmeno chi sia!» esclamò indignata verso l’amica, dopo che Michele si era allontanato.
«Aveva un sorriso simpatico e dopo tutto voleva solo salutare. Non vedi che non si è neanche fermato?» rispose Martina un po’ risentita
«Ma quale sorriso simpatico!? Così giovane gli mancavano già i denti!» ribatté Monica acida.
Poco dopo le due amiche tornarono verso casa nella calda atmosfera del tardo pomeriggio estivo, fra loro però si era instaurato un silenzio gelido.
Era sabato sera, i genitori di Martina stavano per uscire a cena con il solito gruppo di amici, la ragazzina guardava la madre con aperta ammirazione.
“ La mamma è sempre più bella” pensava tra sé, mentre la osservava darsi un ultimo tocco ai capelli biondi che facevano contrasto con l’abito da mezza sera di seta blu notte.
«Mentre siamo fuori cercate di non azzuffarvi come al solito voi due - la mamma si riferiva a Martina e Simone. - E tu Davide, che programmi hai per la serata?» aggiunse, rivolta al figlio maggiore.
«Faccio un salto a casa di Filippo, ma penso di tornare abbastanza presto» le rispose il figlio.
Martina e Simone, rimasti soli cenarono in salotto, mangiando tramezzini e bevendo coca cola davanti al televisore acceso, cosa vietatissima quando i genitori erano in casa e quindi apprezzata dai due ragazzi. Si stavano consumando le ultime battute di un vecchio film western quando rientrarono i genitori. La mamma, perfetta come quando era uscita, lanciò uno sguardo di disapprovazione a Martina rilevando i resti del bivacco avvenuto in salotto.
«Ma è possibile che tu debba essere sempre così disordinata? Ne hai avuto di tempo per lavare due piatti e due bicchieri! Il fatto è che sei pigra, sia nel seguire la scuola sia nelle faccende di casa, mi domando quando imparerai ad assumerti le tue poche responsabilità» e, dopo quella filippica, la donna si ritirò nel bagno.
«Martina, possibile che tu riesca sempre a rovinare la serata a tua madre? Ti costava tanto riordinare un po’ il salotto?» rincarò suo padre. Non una parola a Simone che, essendo maschio, era legittimamente esonerato da qualsiasi faccenda di carattere domestico. Martina si alzò dalla poltrona sbuffando e, rossa per l’umiliazione, trottò verso la cucina dopo aver riordinato piatti e bicchieri. Era da poco passata la mezzanotte quando si sentì suonare alla porta. Era Davide con il volto stranamente colorito, gli occhi lucidi e l’aria sconvolta.
«Davide hai dimenticato ancora le tue chiavi?» gli chiese sua madre comparendo nell’ingresso avvolta in una vestaglia.
«Le avevo, ma sono stato rapinato» rispose il ragazzo nervosamente.
«Oh Santo Cielo! Ma come è successo e dove?» chiese ansiosamente la madre.
Il padre la zittì con un gesto.
«Davide ti hanno forse fatto del male!» chiese ansiosamente al figlio.
«No, del resto ho preferito non opporre resistenza visto che erano in gruppo. Stavano accanto al cancello, uno di loro mi ha minacciato con un coltello e si è fatto consegnare tutto ciò che avevo nelle tasche dei jeans, soldi e chiavi che tenevo in mano» raccontò Davide con espressione ferita negli occhi chiari.
«Bisogna fare una denuncia, li sapresti riconoscere?» incalzò il padre.
«Solo quello che mi ha puntato addosso il coltello, aveva il volto scoperto e un atteggiamento arrogante ed esagitato, non era molto alto, se fosse stato solo mi sarei potuto difendere».
«Probabilmente erano dei drogati, quella gentaglia che bazzica al di la del viale».
«Per carità, meglio lasciar perdere prima di incorrere in qualche vendetta» replicò preoccupata la madre. D’ora in avanti eviterai di uscire da solo la sera tardi. Lunedì faremo cambiare la serratura. Adesso cerchiamo di dormirci sopra».